Lunedì 29 Aprile 2024

Il boomerang primarie

LA ROVINOSA caduta di Ignazio Marino, che solo ieri sera ha ceduto all’unanime richiesta di dimissioni del suo partito, dimostra che – soprattutto in politica – il cocktail tra incompetenza e arroganza può rivelarsi micidiale. Se Marino fosse stato un grande sindaco, probabilmente il pasticcio delle ricevute farlocche gli sarebbe stato perdonato. Sulle multe alla sua Panda rossa fantasma all’inizio del mandato infatti si scherzò. Ma Roma è una città in rovina. Le bugie di Marino che hanno costretto perfino il Papa a una reprimenda dai toni vocali del tutto inediti in un pontefice e la raffica di smentite di presunti ospiti istituzionali a pranzi fatti dal sindaco con altre persone hanno dato il colpo finale a una situazione già insostenibile. I mali di Roma sono antichi. Dalle olimpiadi del ’60 ad oggi si ricordano soltanto un paio di opere pubbliche significative: il ponte della Musica sul Tevere e l’auditorium di Renzo Piano. Opere che a Berlino e a Barcellona, a Londra e a Parigi sarebbero state due tra le cento e che da noi sono soltanto due su due. È terribilmente sgradevole fare i paragoni con una dittatura. Ma in meno di quindici anni Mussolini costruì 147 borghi e città (copyright Antonio Pennacchi, comunista duro e puro).

BONIFICÒ le paludi Pontine e cambiò il volto della capitale, riportando alle luce il Foro Romano sommerso da casupole fatiscenti, costruendo interi quartieri modello, dai Prati della Vittoria all’Eur con strade così larghe che ci si campa ancor oggi di rendita e dando un’impronta modernista all’architettura grazie a giganti come Le Corbusier e Piacentini, Piccinato e Giò Ponti, Libera, Moretti e Morpurgo, che poi avremmo in larga parte ritrovato tra i più accesi antifascisti. I nostri viaggi nelle principali capitali europee sono alla ricerca del nuovo. Le nostre passeggiate romane sono all’insegna del rimpianto. In una lunga storia di clientele e di inefficienza, tuttavia, mai si era raggiunto il livello dell’ultimo biennio. Con un sindaco che galleggia allegramente sulla sporcizia e sul caos dei trasporti con frequentissimi viaggi all’estero di motivazione incerta facendo incontri e dibattendo su temi alti, mentre la sua città affonda in un degrado crescente a vista d’occhio.

L’approssimarsi del Giubileo rende ancora più drammatico questo scenario surreale. Ma un buon commissario salverebbe la dignità della Capitale assai più di un sindaco gaffeur, smentito da questo e da quello perfino su chi fossero davvero i suoi ospiti a pranzo. L’esibizione quotidiana degli scontrini sulle pagine dei giornali è stato uno spettacolo indegno anche di una capitale degradata come Roma. Se Marino aveva retto finora è perché l’esasperazione cittadina – se si votasse oggi – consegnerebbe l’Urbe al Movimento 5 Stelle. E il Pd ovviamente cerca di evitarlo. Renzi ha perciò bisogno di tempo e di riflessione. Le elezioni primarie, bagno di democrazia del Pd, in quasi tutte le grandi città hanno portato a risultati opposti a quelli auspicati dal partito di maggioranza: da Milano a Cagliari, da Napoli a Genova, a Palermo, fino a Venezia dove l’indicazione di Felice Casson è stato il miglior regalo al centrodestra, che infatti ha vinto con la lista civica di Luigi Brugnaro. A Roma Marino era il candidato che né Bersani, né Renzi avrebbero mai voluto. Il presidente-segretario ci disse alla vigilia dell’estate che nelle grandi città la scelta dei candidati sarebbe stata avocata dalla segreteria nazionale del Pd. Scelta controcorrente, ma indispensabile per sopravvivere. A Milano e ora anche a Roma.