Giovedì 16 Maggio 2024
GIOVANNI BOGANI
Magazine

Venezia, primo film italiano in gara. "Noi, fragili figli degli anni di piombo"

Favino in “Padrenostro”. Alla regia Claudio Noce: il papà questore fu ferito dei terroristi rossi

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Il primo film italiano in concorso a Venezia, Padrenostro, interpretato e coprodotto da Pierfrancesco Favino, fa i conti con le pagine color rosso sangue della nostra storia, con gli anni di piombo che hanno straziato l’Italia degli anni ’70: il terrorismo. Ma lo racconta in modo diverso da tutti i film che lo hanno preceduto.

Padrenostro racconta la vicenda del questore Alfonso Noce, che scampò alla morte in un conflitto a fuoco con i Nuclei armati proletari, una delle formazioni terroristiche di quegli anni. Nell’agguato, Noce rimase ferito, e uno dei terroristi – Martino Zicchitella – perse la vita. Il film, però, si focalizza sui due figli, il figlio del questore e quello del terrorista, che si ritrovano a intrecciare i loro percorsi, e a vivere – da bambini quali erano – le ombre di quell’evento. È questo approccio intimo, emotivo più che politico, la vera novità del film, nelle sale dal 24 settembre, distribuito da Vision. Ne parlano Favino, che è anche coproduttore della pellicola, e il regista Claudio Noce, che è proprio uno di quei due bambini, il figlio del questore.

Favino, lo sa che il segretario leghista Matteo Salvini è arrivato a Venezia per vedere questo film?

"Non lo abbiamo invitato noi, ma ciascuno è libero di andare alle proiezioni. E conoscendo il suo istinto per essere presentento nelle situazioni importanti, questo non può che farci piacere. Quanto alla possibilità di manipolare, di strumentalizzare il film, credo che questa possibilità non ci sia. Questo non è un film pro poliziotti o pro terroristi: questa è una storia di bambini e di figli".

"Nessuna manipolazione politica – risponderà in serata a distanza Salvini – sono qui per la mia fidanzata Francesca, mi aspetto di divertirmi, a me Favino come attore piace molto".

Perché, Pierfrancesco, questa storia l’ha toccata nel profondo?

"Mi ha toccato perché racconta anche la mia infanzia: i genitori che non erano amici dei figli, che nascondevano ogni fragilità. Padri forti che parlavano poco con i figli. E questi figli che negli anni ’70, in mezzo alle tensioni politiche e al senso di minaccia che attanagliava la cronaca, erano pur tuttavia dei bambini, con la loro voglia di gioia e di gioco".

Quei bambini di allora hanno realizzato il film di oggi. Qual è il senso del vostro racconto?

"Abbiamo raccontato una guerra che abbiamo visto, e che ci coinvolgeva. Ma abbiamo anche costruito una laicità non ideologica attorno a questo dramma. Siamo i bambini che, quando hanno rapito Moro, hanno percepito il dramma perché non c’erano i cartoni animati in tv".

Claudio Noce, suo padre ha visto il film?

"In una proiezione privata a Roma: ricordo l’emozione fortissima di mio padre, che è un uomo che non si lascia andare. Ho capito quanto è stato colpito dal film. Per me il film è proprio una lettera a mio padre".

Che cosa ricorda, lei, di quegli anni?

"La paura. Ogni volta che vedevo arrivare le auto con i poliziotti della scorta, magari mentre giocavo, non mi sentivo tranquillizzato, ma al contrario cominciava per me la paura".

Favino, quale significato politico darebbe al film?

"È un film sentimentale, di emozioni. Per tanti anni ho cercato di appartenere, in qualche modo, a quelle tensioni che il film racconta. Ma non erano le mie. E forse il significato politico del film è proprio questo. E per me, è un film sul mistero del rapporto fra un padre e un figlio".

È stato difficile – parlando di cose più leggere – per lei, romanista, toccare un pallone firmato dal bomber della Lazio Giorgio Chinaglia?

"Ho detto chiaro, fin dal primo giorno, a Claudio Noce che non avrei mai pronunciato quel nome!". E Favino si rovescia la mascherina, che al suo interno ha i colori giallorossi. Tanto per chiarire.

 

 

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