Lunedì 6 Maggio 2024

Mostra del cinema di Venezia 2019, La vérité con Deneuve e Binoche

Catherine Deneuve diva ambigua nell'opera di Kore-eda: "Ma nella realtà non sono così". Juliette Binoche: "Un film che aspettavo da 14 anni"

Venezia, red carpet: Catherine Deneuve, il regista Hirokazu Kore-eda e Juliette Binoche

Venezia, red carpet: Catherine Deneuve, il regista Hirokazu Kore-eda e Juliette Binoche

Venezia, 29 agosto 2019 - La prima Leonessa della Mostra è Catherine Deneuve: settantasei anni, due César, una coppa Volpi vinta a Venezia, un Orso d’argento a Berlino, una nomination all’Oscar per una carriera lunga sessant’anni, nel corso della quale è stata musa per Polanski, Bunuel, Truffaut, Lars von Trier: mentre, nella vita privata, è stata amata da Roger Vadim e da Marcello Mastroianni. Se c’è una donna che incarna l’idea stessa dell’attrice, del volto che richiama il pubblico, della donna che accoglie e distribuisce la luce del Cinema, è lei. E forse solo lei, o pochissime altre al mondo, potevano interpretare il ruolo che interpreta nel film La vérité diretto dal giapponese Kore-eda, che ha aperto ieri, fra gli applausi, la Mostra del cinema di Venezia. Perché la Deneuve nel film ha il coraggio di mettere in scena un doppio sgradevole, odioso, irritante di se stessa. Interpreta una grande attrice ancora rispettata, diabolicamente abile nell’arte sublime e cinica delle menzogne. Una donna che non ha mai amato la figlia, elegantemente indifferente a tutto, tranne che ai giudizi sulla sua arte.

Signora Deneuve, quanto ha portato di se stessa al suo personaggio? "Come sempre, metto molto di me stessa come persona, e come donna, nei film che faccio. Ma questo personaggio è molto lontano da me: così, paradossalmente, interpretavo un’attrice, ma anche un personaggio lontanissimo da me, da quello che ho vissuto, da quello che ho conosciuto. Nel suo modo di interpretare il mestiere, e nei suoi rapporti con la figlia. Comprendo i suoi drammi, ma non sono quelli che ho vissuto io".

Come è stata l’esperienza della lavorazione? "È stata un’esperienza piuttosto originale e complessa. La prima settimana di riprese è stato piuttosto strano: tutto passava attraverso la traduttrice di Kore-eda, che parla solo giapponese. E quindi mi accadeva di chiedere le cose guardando sempre la traduttrice, invece del regista. Inoltre, non c’erano quelle chiacchiere che servono a chiarirsi, ad aggiustare piano piano le rispettive visioni artistiche. Ma piano piano ho imparato a capire il volto di Kore-eda, le sue espressioni. È stata un’esperienza unica, che ha superato le difficoltà che accadono, nella vita in generale, quando non è semplice comunicare. E sono davvero felice di aver lavorato con Kore-eda, malgrado la frustrazione di non aver potuto comunicare immediatamente come avrei voluto".

Il suo personaggio, Fabienne, fa di tutto per recitare meglio. Quando vive un’emozione nella vita, pensa "accidenti, perché non l’ho messa nel film!". E lei? "Fabienne è una “macchina per recitare”. Io no. Non è quella la mia natura".

Venezia 76, regine del primo red carpet Deneuve e Binoche 

Accanto a lei, Juliette Binoche, che nel film interpreta la figlia trascurata, che si è reinventata una vita negli Stati Uniti, e che lavora nel cinema, sì, ma come sceneggiatrice.

Signora Binoche, per lei come è stato lavorare con Koreeda? "Era un sogno che avevo da quattordici anni, che finalmente si realizzava. Un film che aspettavo da anni senza poterlo fare: e questa è la magia del cinema: in un dato istante tutte le tessere del mosaico si compongono, e un’emozione nasce. Al momento di farlo, il regista mi ha ordinato di non preparare niente “prima”, e ho obbedito: ho scoperto ogni emozione, ogni intonazione sul set. E ho scoperto che lui, ad ogni ciak, recitava con me, si muoveva con me, ‘respirava’ con me, anche se non capiva le parole!".

Come racconterebbe il suo personaggio? "Anche se Kore-eda dice che il film è una commedia, io nel mio personaggio vedo una donna ferita dalle menzogne di sua madre, una donna che non trova la verità".

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