Giovedì 18 Aprile 2024

Va tutto bene O forse no

di Andrea

Martini

Al talento debordante ma non sempre produttivo di Leos Carax si oppone quello sicuramente fruttuoso di François Ozon. I cosiddetti cinefili che vanno in delirio per il primo non si scaldano ai racconti giudiziosi, ma sempre partecipati del secondo. E i festivalieri hanno paura di non essere à la page se non si allineano. Ozon ce la mette tutta (una pellicola all’anno) ma gli ingiustificati pregiudizi restano. Il suo ultimo film, “È andato tutto bene“, ha per protagonista un borghese ottantenne (uno straordinario André Dussollier) che, dopo un ictus, decide di porre fine all’esistenza terrena. Il soggetto è di attualità ma fortunatamente Ozon si guarda bene dal fare un film sull’eutanasia e dipana il racconto su un ordito familiare. Insieme al vecchio padre sono protagoniste le figlie (Marceau e Pailhas) il cui aiuto è necessario per condurre a buon fine l’irrevocabile decisione. Esitazioni, incertezze, rifiuti costellano il percorso e rivelano intrecci familiari più o meno sopiti tra cui fa spicco l’omosessualità del protagonista ben nota alla famiglia.

Se non fossimo in Israele, se non vigesse l’incubo della guerra perenne, se l’autoflagellazione non avvenisse in un deserto pietroso, ma soprattutto se l’autore non fosse Nadav Lapid (Orso d’oro a Berlino 2019) potremmo pensare che al centro di “Il ginocchio di Ahed“ vi sia un regista in piena crisi di mezza età e di ispirazione. Invece trattandosi dell’ enfant prodige del cinema di Gerusalemme la parabola è, forse velleitariamente, plurisignificante: urlo di dolore per una nazione in decomposizione, grido d’allarme per la libertà artistica in pericolo, sofferto lutto per la recente perdita della madre. Forse un po’ troppo anche se l’interprete, il virtuoso Avshalom Pollak, riesce a esprimere compiutamente i diversi stati d’animo.

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