
Riccardo Muti e gli oltre 3.116 coristi di “Cantare Amantis Est” a Ravenna Festival (Foto Silvia Lelli e Marco Borrelli)
Ravenna, 3 giugno 2025 – "Ti amiamo", è l’acuto di una signora dalle tribune, settore dei soprani. "Mu-ti, Mu-ti", scandiscono i baritoni dal fondo del palazzetto auditorium. "Ric-car-do, Ric-car-do", intervengono i tenori.
Accolto come una popstar, Riccardo Muti arriva sul palco del Pala De André, osserva il coro immenso che ha davanti ai suoi occhi, si mette le mani fra i capelli e quasi stenta a credere che tutto questo possa essere vero: "Nella mia carriera non ho mai avuto un’esperienza come questa", confessa con emozione. Sono arrivati in 3116 da tutta Italia rispondendo alla “chiamata alle arti“ del Maestro e delle “Vie dell’amicizia“ di Ravenna Festival: 106 corali, da Rivarolo Canavese in Piemonte a Corciano in Umbria, da Venezia a Lavarone (Trento) e naturalmente anche da Napoli e Molfetta, le città di Muti, più 1202 coristi che si sono iscritti individualmente, dai 4 agli 87 anni, tutti insieme per due giorni per cantare in uno spirito di suprema armonia, di fratellanza, di amicizia. Di Pace.
"Poter cantare con il Maestro per noi è come un sogno", dicono Rina e Simona, di Livorno. "E qui abbiamo ritrovato tanti amici", aggiungono Michele e Fabrizio, tenori di Bologna. Non sono cantanti professionisti, alcuni di loro sono più portati al repertorio lirico, altri hanno maggiore esperienza "ma siamo venuti per imparare", dicono tutti. Se "Cantare amantis est", cantare è proprio di chi ama, come scrisse Sant’Agostino (e la sua frase è divenuta emblema di questo evento), questa è una comunità di voci cantanti e di cuori amanti.
Già l’attesa dell’evento è uno spettacolo. Suddivisi fra tribune e platea in base alle loro voci, tutti con la t shirt realizzata per l’occasione, i coristi fanno la “ola“, intonano Quel mazzolin di fiori, Bella ciao e Volare, qualcuno anche Tanti auguri a te. E quando entra in scena il Maestro, nella mattinata della festa della Repubblica, per prima cosa si esegue l’inno nazionale "che non finisce con la parola “Sì“, non c’è nel manoscritto di Mameli", dice Muti che fa ripetere nella versione corretta. È una festa, ma sono soprattutto due giornate di lavoro, una masterclass su tre grandi cori di Giuseppe Verdi, capolavori notissimi ma – annota il direttore – spesso bistrattati perché non viene rispettata l’intenzione dell’autore.
"Ogni partitura di Verdi è meticolosissima: vi ho dedicato sessant’anni della mia vita, eppure ogni volta scopro qualche elemento nuovo – sottolinea il Maestro –. Il fatto che certe partiture siano apparentemente semplici non significa che debbano essere eseguite in maniera volgare". Eppure per alcuni – aggiunge – l’opera italiana deve essere urlo: "Sono stufo di vedere nel mondo ascoltare con dedizione Mozart o Wagner mentre l’opera dei nostri autori è considerata puro intrattenimento". Ogni nota, ogni parola è cesellata. Ecco allora il “sottovoce del Va’ pensiero dal Nabucco, il “tristissimo“ e “dolente“ del canto dei soprani in Patria oppressa da Macbeth e l’andamento processionale di Jerusalem! da I Lombardi alla prima Crociata, le pause come respiri d’angoscia.
"Non cantate sillabando, la lingua italiana è legata", raccomanda Muti. Si prova e si riprova, si parte da capo, ogni tanto il Maestro gioca con gli aneddoti e le battute, i coristi accolgono ogni indicazione e al termine l’esecuzione è un gioiello: "Siete bravissimi, meglio di certi cori blasonati", si complimenta il Maestro.
Riccardo Muti cita proprio Verdi: "Il coro – diceva – è un’entità di individui: la bravura del maestro non è cancellare gli individui ma armonizzarli". I 3116 di Ravenna sono arrivati da tutte le parti d’Italia, non si erano mai incontrati prima, eppure è come se fossero insieme da sempre. Il miracolo non è avvenuto per caso: queste persone – osserva il Maestro – hanno nel loro dna questa musica, "e nel canto uniscono i loro sentimenti che sono quelli di una nazione, la nostra italianità". C’è un’unità di suono che ci tiene insieme, un’unità di ispirazione: "Questi siamo noi", dice Riccardo Muti che alla fine delle due giornate, pur stanchissimo, saluta uno per uno i coristi. Qualcuno gli canta ’O surdato ‘nnamurato, qualcun altro gli consegna un regalo. "Visto il successo anche inaspettato, stiamo pensando che forse potremmo continuare anche nei prossimi anni", annuncia il Maestro al termine della maratona. Dove c’è musica non può esserci cosa cattiva, è il tema del festival di quest’anno: e questa ne è la migliore dimostrazione.