Bello, famoso, tuttora giovane (48 anni), premiato. E investito, negli ultimi mesi, da uno tsunami di accuse. È stato trovato morto ieri a Seoul, all’interno di un’auto, l’attore Lee Sun-kyun, che interpretava il ricco signor Park nel film Parasite di Bong Joon-ho, il primo film coreano a vincere una Palma d’oro, e anche il primo film coreano a vincere l’Oscar. La moglie, l’attrice Jeon Hye-jin, ha dichiarato alla polizia di aver trovato in casa quello che sembra proprio un biglietto di addio. Un suicidio per la vergogna, per il senso dell’onore violato dall’accusa di aver fatto uso di sostanze stupefacenti. In Corea del Sud è un reato grave, anche quando si tratti di droghe considerate “leggere“. I reati sono punibili con pene fino a quattordici anni per recidivi e spacciatori; la vendita di cannabis è persino punibile con l’ergastolo. Il sistema coreano – che peraltro è molto indulgente verso l’abuso di alcol – è durissimo nei confronti dell’uso di droghe. Negli ultimi mesi, il governo ha stretto ulteriormente i controlli. E nel mirino sono finite molte personalità famose: attori, cantanti, giovani delle famiglie più in vista.
Lee era stato interrogato più volte dalla polizia: l’ultima, con un interrogatorio fiume, durato 19 ore, lo scorso weekend. L’attore avrebbe dichiarato di essere stato indotto ad assumere droghe con l’inganno, da una barista di Seoul che poi lo avrebbe ricattato: le indagini hanno portato all’arresto di un uomo e una donna. Lee avrebbe anche chiesto di essere sottoposto al test con la macchina della verità, sostenendo la propria innocenza. La richiesta era stata fatta dal suo avvocato appena il giorno prima del suo decesso.
Gli ultimi mesi, Lee li aveva passati a scusarsi, davanti alle telecamere. Poco prima di entrare nella stazione di polizia della città di Incheon, dove è condotta l’inchiesta, aveva detto: "Mi scuso sinceramente per aver deluso molte persone, rimanendo coinvolto in questo incidente tanto spiacevole. Mi inchino e chiedo scusa a tutti coloro che hanno creduto in me e che mi hanno supportato. Mi dispiace per la mia famiglia, che sta sopportando un dolore tanto grande in questo momento".
Forse è persino difficile immaginare che cosa possa significare la perdita dell’onore, per un attore orientale. Non siamo attrezzati per comprenderla appieno. La carriera di Lee, intanto, aveva segnato un brusco stop: ritardi nell’uscita dei film già girati, e l’esclusione dalle riprese della serie televisiva No Way Out, iniziate ad ottobre.
Nel film Parasite, Lee è il padrone di casa, la magnifica villa nella quale si svolge la commedia dark di Bong Joon-ho. Ha il viso levigato dal privilegio e dall’indifferenza verso il prossimo: ma nella sarabanda di avvenimenti tragicomici del finale, anche per lui ci sarà un conto salato da pagare. Parasite trionfò a Cannes nel 2019, vincendo a sorpresa la Palma d’oro, il primo di una lunghissima serie di premi. Una serie arrivata fino all’Oscar: quattro le statuette vinte da Parasite: miglior film, miglior regista, migliore sceneggiatura originale, miglior film internazionale. La Corea del Sud veniva consacrata sulla ribalta internazionale del cinema. Lee, da parte sua, vinse un SAG Award, il premio del sindacato degli attori americani, insieme a tutto il cast.
Nato a Seoul nel 1975, Lee aveva studiato teatro alla prestigiosa Korea National University of Arts. Un film lo lega all’Italia: nella commedia Pasta, del 2010, era il dispotico chef di un ristorante italiano. Fra i suoi lavori più importanti, il thriller psicologico Helpless, del 2012, di Byun Young-joo, e Dr. Brain, la prima serie televisiva coreana per Apple tv+. Il suo ultimo film, l’horror Sleep, in cui interpreta un marito sonnambulo, era stato presentato all’ultimo festival di Cannes, nella Semaine de la critique. Lascia la moglie Jeon Hye-jin e due figli.