di Luca
Scarlini
Emilio Prini o dell’impossibile. La notevolissima mostra … E Prini curata da Luca Lo Pinto dopo anni di ricerche, in strettissima collaborazione con l’archivio dell’artista a lungo intervistato nel corso del tempo sulle sue azioni e gli incroci tra arte e vita, insieme a Matteo Binci, al Museo Macro di Roma, rende giustizia a una figura che ha sempre civettato magistralmente con la scomparsa, l’estinzione, la cancellazione della propria opera. L’esposizione, che arriva a tre anni dalla precedente realizzata dalla Fondazione Merz nel 2019 a Torino, e che dura fino al 31 marzo 2024, presenta in ordine rigorosamente cronologico le operazioni iniziate nel territorio dell’Arte povera, nella dichiarazione inaugurale del fenomeno, inaugurata da Germano Celant alla Galleria La Bertesca di Genova il 19 settembre 1967, con un gesto che aprì una nuova stagione della ricerca.
Come in tutti i suoi lavori maggiori, con rigore feroce Prini interroga l’ovvio. Il titolo Perimetro di spazio annuncia una operazione che esplora la definizione di un ambiente, con tubi al neon disposti ai quattro angoli dello spazio, collegati a un rocchetto centrale, con un timer. Una macchina celibe, destinata a riprodurre se stessa, creando una fata morgana, un luogo che sparisce e si ricrea.
La scelta del curatore prevede molti materiali d’archivio che dimostrano come nei primi anni di attività, Prini – nato a Stresa nel 1943 e scomparso a Roma nel 2016 – abbia deciso tutto il suo itinerario, a cui è rimasto fedele in tutta la sua esistenza, funestata da una grave malattia che lo segna fino dalla giovinezza. Un foglio del 1967 dichiara un ambito che continua a esplorare: Cosa caso causa, in cui sembra echeggiare una ironica allusione al principio aristotelico in un insieme di due progetti futuri. La sua relazione con i poveristi è ondivaga, va viene, scompare per molti anni, per tornare poi in epoca di retrospettive di gruppo dagli anni ’90. Dagli anni ’60 si dedica ad analitici rilevamenti di architetture, prima a Genova, poi a Roma, dove si trasferisce negli anni ’70.
Una sequenza nutrita vede l’artista di spalle seduto alla finestra di casa sua: qui viene messa a prova l’idea fondamentale dell’artista visto di schiena, da solo o insieme alla famiglia, elemento ricorrente. Spesso nella visione, romantica, alla Caspar David Friedrich, Prini aggiunge giocosamente un cuoricino, altre volte si entusiasma perché in una visione calcolata fino al minimo dettaglio compare all’improvviso una piccola stella, che si manifesta per un gioco di luce. Difficilissimo dipanare i lavori privati da quelli pubblici, per un artista che spesso ha impedito di fare vedere le sue opere, smontato mostre appena messe su, contestato cataloghi come quello per una delle rare esposizioni personali, Fermi in dogana, a Strasburgo nel 1995, il cui poster non firmato ha raggiunto quotazioni molto alte sul mercato.