Venerdì 26 Aprile 2024

Quando i briganti perdevano la testa

Decapitati e poi “mummificati“: così finivano i banditi italiani dell’Ottocento. E adesso il romagnolo “Gagì“ torna in scena

Migration

di Stefano Marchetti

Luigi Casadio detto Gaggino, “Gagì“, rossiccio di capelli, conosceva le campagne attorno a Ravenna come le sue tasche. Portava la camicia rossa come i garibaldini e i crocifissi al collo. Prendeva di mira i birocci che tornavano dal mercato, dicono che mandasse lettere minatorie a un possidente per costringerlo a dargli dei soldi, pare avesse pure ucciso un prete per rapinarlo. Era certo un bandito, un brigante, oggi di certo diremmo un disgraziato, forse un povero diavolo. E fuggiva, fuggiva sempre come una lepre. Per riuscire ad acchiapparlo, il prefetto di Ravenna aveva ordinato che le siepi e le coltivazioni di canapa non potessero superare il metro e mezzo di altezza, e il prefetto di Forlì aveva messo una taglia sulla sua testa, 1500 lire. E di sicuro fu proprio una “soffiata“ a tradirlo: il 1° ottobre del 1868 i Carabinieri lo intercettarono a Filetto, alle porte di Ravenna, spararono, lo catturarono. Gaggino morì su un carretto prima ancora di arrivare in città. Aveva 23 anni. Come era avvenuto nel 1851 per Stefano Pelloni, il Passator cortese, anche il cadavere di Gagì, come un trofeo, venne esposto perché la gente potesse vederlo in faccia. "Una faccia da delinquente", avrebbe potuto dire Cesare Lombroso, antropologo criminale che nei volti delle persone leggeva il loro destino e le loro devianze.

Gli occhi (di vetro) spalancati, i denti stretti in un ghigno sinistro, la pelle tirata, la fronte alta. Sono trascorsi più di 150 anni, e domani nuovamente Gagì si lascerà guardare in faccia. Al teatro Rasi, infatti, verrà esposta la sua testa mummificata, ritrovata qualche anno fa quando un nubifragio allagò gli scantinati dell’ospedale di Ravenna: il volto atterrito di Gagì galleggiava, insieme alle teste di tre briganti suoi compari, tutti decapitati, Antonio Fusconi detto Cippon, Pietro Puntiroli “in arte“ Chilazzo, e un non meglio conosciuto Tigna o Tegna. Quei reperti sono ora custoditi dall’Ausl Romagna, e domani la rassegna “Storie di Ravenna“, grazie a storici ed esperti, ricostruirà la storia della setta degli accoltellatori che attorno al 1860 seminò il terrore nelle strade di Ravenna, in un’epoca di accesi contrasti, di passioni politiche, di modernità e di rivoluzione.

Quella di “imbalsamare“ le teste di banditi e briganti era una consuetudine diffusa all’epoca. Proprio lo scorso anno, l’azienda ospedaliera di Desenzano (Brescia) ha restituito al Comune di Salò busti e teste di 12 uomini e una donna che attorno al 1820 furono giustiziati (perlopiù fucilati) perché considerati soggetti pericolosi, carbonari o briganti. Il medico Giovan Battista Rini li aveva imbalsamati “pietrificandoli“ con una tecnica che non volle mai rivelare.

"Ladro", "Falsario", recitano le etichette applicate ai volti e alle maschere di cera che ancora ci “osservano“ dalle vetrine del Museo di antropologia criminale di Cesare Lombroso, a Torino: nato nel 1835, scomparso nel 1909, medico e filosofo di convinta fede positivista, era convinto che potesse esistere un "delinquente nato" che si riconosceva dai suoi caratteri. Aveva studiato, per esempio, il cranio di Giuseppe Villella, che si diceva fosse stato un brigante, e aveva scoperto una “fossetta occipitale mediana“ che per lui era la prova di un "atavismo criminale", cioé di una primitiva attitudine a delinquere. Peccato però che, come è stato dimostrato in anni successivi, il povero Giuseppe non avesse rubato nulla: era solo un povero bracciante. Certamente Lombroso aveva mille interessi, si occupava perfino dei tatuaggi dei carcerati, di spiritismo e metapsicologia, di lingustica e di letteratura: ne ritroviamo le tracce ne L’amore nei pazzi e altri scritti, l’antologia che Einaudi ha pubblicato di recente.

Ai suoi tempi, Cesare Lombroso teneva conferenze su suicidi e follia, su amori e delitti, oggi abbiamo le fiction e gli Amori criminali. E – tutto sommato – proprio come allora siamo sempre attratti da quegli imperscrutabili misteri della mente che portano a compiere il male. Di sicuro però non riusciremo a “leggere“ tutto questo negli occhi straniti di Gagì: lui vuole soltanto riposare in pace.

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro