Roma, 24 gennaio 2024 – Non solo l’impresa di Matteo Garrone che centra la cinquina dei miglior film internazionali, non solo il prevedibile record di 13 nomination per l’Oppenheimer di Christopher Nolan: siamo alle prime candidature della nuova era dei “criteri di rappresentazione e inclusione” e se è presto per dire che la rivoluzione a Hollywood è compiuta, le nomination della 96ª edizione dei premi Oscar lasciano sperare che almeno qualche bel tumulto sia in atto. Innanzi tutto, lo scossone anti-patriarcale: tra i 10 “migliori film“ campeggia sì il manifesto femminista pop della Barbie di Greta Gerwig (campione d’incassi, 8 nomination) ma anche quell’Anatomia di una caduta Palma d’oro a Cannes a firma della francese 45enne Justine Triet (candidata pure per la regia), eccezionale manuale d’autore su come possa essere letalmente declinato il patriarcato oggi pure in ambienti apparentemente evoluti. E se fa già discutere l’esclusione della Gerwig tra i 5 migliori registi (con la Triet gareggiano Scorsese di Killers of the Flower Moon, Nolan di Oppenheimer, Lanthimos di Povere creature! e Jonathan Glazer de La zona d’interesse), bisogna comunque sottolineare che sono tre le cineaste autrici di film scelti tra i migliori dieci: Gerwig, Triet e la 36enne sudcoreana/canadese Celine Song al debutto in Past Lives (targato A24, la stessa del trionfo 2023 di Everything Everywhere All at Once). Infine, non può essere escluso dalla partita neo-cine-femminista l’inno alla libertà e alla potenza sessuale femminile di Bella Baxter-Emma Stone in Povere creature! del sempre geniale Lanthimos, Leone d’oro a Venezia, che con 11 nomination insegue il Nolan pigliatutto dei tormenti umani e dei dubbi etici del padre della bomba atomica.
Ricapitolando: uno: rivoluzione anti-patriarcale. Due: lieve ma evidente ridimensionamento dell’impero Usa-centrico: tra i magnifici 10 abbiamo non solo il greco (hollywoodiano) Lanthimos ma sia il francese Anatomia, sia l’inglese antinazista, dall’agghiacciante romanzo di Martin Amis, La zona d’interesse. Tre: una bella dose d’impegno, non scontatissima, a partire dalle 10 nomination ottenute dal film ferocemente anti-yankee e pro-nativi Osage del maestro 81enne Scorsese (lui alla 10ª candidatura da regista; il malefico De Niro, 80 anni, alla 9ª nomination, da non protagonista; con il primato tra le protagoniste della nativa americana Lily Gladstone; con il nulla di fatto per DiCaprio). Eccentrico, poi, American Fiction, che va all’attacco, con ironia e da un punto di vista “black“, dell’intransigenza del politically correct.
Felici le 5 candidature di The Holdovers, da segnalare le 7 del Bernstein-Bradley Cooper di Maestro: e c’è anche quella per il miglior trucco pur dopo le polemiche per il nasone “antisemita“ posato sul volto del divo Leonard. Si profilano entusiasmanti la sfida tra le attrici protagoniste Stone e Gladstone con Sandra Hüller (Anatomia), Carey Mulligan (Maestro) e la veterana Annette Bening (Nyad) – anche qui clamorosa l’esclusione di Margot Robbie-Barbie – e la sfida tra i protagonisti Murphy-Oppenheimer, Cooper-Maestro, Paul Giamatti (The Holdovers), Colman Domingo (il Bayard attivista afroamericano gay di Rustin) e Jeffrey Wright (American Fiction). Divi maximi tra i non protagonisti: Ryan Gosling-Ken, il Downey Jr di Oppenheimer, il Ruffalo di Povere creature!, De Niro nonché la rediviva Jodie Foster (Nyad), Emily Blunt (Oppenheimer) e l’ex Ugly Betty America Ferrera per Barbie.
Garrone con Io capitano (Leone d’argento per la regia alla Mostra di Venezia) e con i suoi adolescenti che lasciano il Senegal per raggiungere l’Italia, dovrà vedersela con il Wim Wenders made in Japan di Perfect Days – film molto amato anche da noi – e con due opere pluricandidate quali La zona d’interesse (5 nomination) e La società della neve il kolossal spagnolo sulla lotta per la sopravvivenza dei ragazzi di una squadra di rugby uruguaiana il cui aereo precipitò sulle Ande nel ’72 (storia vera, 2 nomination); completa la cinquina il tedesco The Teachers’ Lounge di İlker Çatak. "È una grande soddisfazione e siamo felici che l’avventura continui; nella speranza che il film, e la storia di Seydou, venga visto da un numero sempre maggiore di spettatori in tutto il mondo", ha detto ieri Garrone. L’ultima volta dell’Italia in cinquina risale al 2022, con È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino – la statuetta andò al giapponese Drive My Car di Ryusuke Hamaguchi – mentre sempre di Sorrentino è l’ultimo Oscar vinto dal nostro Paese: La grande bellezza, 2018. Appuntamento a Los Angeles, il 10 marzo.
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