Venerdì 26 Aprile 2024

"Marilyn e le altre, io cacciatore di autografi"

L’inglese Adam Andrusier racconta la sua vita sulle tracce delle celebrità: "Il mio motto? Farei di tutto per la firma di Kirk Douglas"

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di Silvia Gigli

"Abbiamo avuto un momento insieme, Elizabeth Taylor e io. Ci siamo guardati. Poi un velo è calato sul suo sguardo viola e mi ha detto: “Mi dispiace, non posso“. La capisco. Liz era fuori dalla mia portata, tutto qui. Era stato il mio desiderio a farmi arrivare fino a lei, in quel momento il mio desiderio ha raggiunto il suo apice, ma non sono potuto andare oltre". A raccontare è Adam Andrusier: playboy infallibile, seduttore seriale? No. Semplicemente: cacciatore di autografi. Anzi: probabilmente “il“ cacciatore d’autografi più implacabile del mondo.

Adam ha un autografo di Hitler e uno di Marilyn Monroe esposti in bagno. Sono solo due degli infiniti cimeli che Andrusier ha collezionato nel corso della sua vita, e che mostra con orgoglio sul suo sito (https:www.andrusierautographs.com). Spiega che il suo è uno di quegli hobby che può diventare un’ossessione: "Farai praticamente qualsiasi cosa per un Kirk Douglas", è la parola d’ordine del suo club personle. E lui l’ha fatta, qualsiasi cosa, iniziando a piccoli passi, bambino degli anni ’80 come tanti altri del sobborgo di Pinner, nel nord di Londra, ma diverso da tutti per la sua passione: già da piccolo il suo gioco era cercare tracce dei vecchi divi, da James Stewart a Kim Novak.

L’epico viaggio di Andrusier nel folle mondo degli autografi inizia quando, a dieci anni, scopre che l’attore comico Ronnie Barker vive dietro casa sua. Insieme al suo migliore amico bussano a Barker ma lui non si presenta alla porta. La mamma allora gli suggerisce di scrivergli una lettera: pochi giorni dopo appare una fotografia firmata. Da allora, spiega Adam nel libro Hitler and a Marilyn (Headline) "ho sentito un legame speciale con Barker. Era come se dopo aver ottenuto il suo autografo lui fosse diventato mio. Sono stato travolto da quella sensazione: qualcosa di straordinario si era messo in moto. Alla fine ho capito: lo scopo dell’autografo è creare un varco tra il nostro universo e quello parallelo in cui vivono e vivevano le celebrità".

Ottenere autografi vip non diventa il suo mestiere, ma la sua missione: li chiede di persona alle star, inseguendole a Londra ma stanziando spesso anche a Los Angeles; oppure vola per il mondo in cerca di altri collezionisti, aste, vendite. Ottiene l’autografo di Sinatra per poi scoprire che è falso (e scoprirà anche che molte firme di Frank sono state fatte con un timbro), manda tre foto di Clint Eastwood a casa del divo e ne riceve una indietro con la firma autentica. Riesce ad avvicinare Katharine Hepburn nove volte: la politica della stella era “non firmare autografi a persone che non conosco” ma "dopo avermi visto nove volte – si dice Adam – magari non le sono più sconosciuto...". Con Kat però la missione fallisce; in compenso va a segno con David Attenborough, Margot Fonteyn e il generale Pinochet: tutti "disponibili poiché tutti felici di mostrare affabilità e professionalità". Adam placca una gentilissima Judi Dench dietro le quinte del teatro dove recita; Nelson Mandela nella hall di un hotel: "In genere nessuna celebrità, dal vivo, è come la sua immagine". A parte Richard Gere: "Mi ha fatto uno scarabocchio ma non mi ha guardato. Però è innegabile il suo fascino profondo".

La sua inarrestabile carriera di cacciatore di autografi lo ha portato a diventarne un vero esperto, a distinguere i veri dai falsi: "Sono così bravo con la firma di Bogart che ora posso scrivere il suo nome meglio di lui" scherza e avverte gli eventuali discepoli: "molti vecchi autografi sulle vecchie foto dei divi hollywoodiani venivano fatti dalle segretarie delle Major: non valgono nulla". Pericoli in agguato, e collezionisti se più accaniti di lui, a volte con strane ossessioni. "C’è un canadese che ha rintracciato i Munchkin sopravvissuti dal Mago di Oz nelle case di cura californiane. Un chirurgo oculista di Manchester che voleva solo gli autografi di persone non vedenti, come Stevie Wonder e Ray Charles. “Non firmo niente per nessuno!” scattò Charles con me", racconta Andrusier. "Ma forse semplicemente non voleva scrivere autografi perché non riusciva a vedere cosa stava firmando".

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