Giovedì 31 Ottobre 2024
CHIARA DI CLEMENTE
Magazine

L’ora di Napoli. Geolier al Festival come Mare fuori: la città amata dai ragazzi

Il rapper portavoce di un sentimento giovanile sempre più diffuso in tutta Italia. E intanto Zaia apre al dialetto a Sanremo: "Ogni regione può essere rappresentata".

Napoli, 16 febbraio 2024 – Ci sono strumenti nuovi che raccontano una storia antica. Strumenti nuovi, voci nuove, linguaggi e ritmiche nuove che, pur cantando di tematiche o mode d’attualità, continuano a raccontare una storia antica. Nella musica – certo non solo nella musica ma la musica ha la capacità di comunicare tutto in maniera più evidente e immediata – funziona così. Geolier, rapper 23enne nato a Secondigliano, è arrivato al Festival di Sanremo intonando una canzone interamente in dialetto napoletano: Amadeus ha cambiato il regolamento che fino alle edizioni precedenti prevedeva (non dimentichiamo: siamo al festival della canzone “italiana“) l’uso del dialetto sì, ma in piccole o meno piccole dosi, vedi Tazenda o Pitura Freska o Van De Sfroos, apposta per lui. D’altronde Amadeus (che ha l’umiltà o la furbizia di bilanciare il proprio boomerismo ultrasessantenne con l’ascolto delle istanze quattordicenni del direttore artistico-ombra del Festival, il figlio José) sapeva che avere in gara il ragazzo sarebbe stato di per sé il vero colpo grosso di quest’edizione: Geolier nel 2023 ha venduto più dischi di chiunque altro.

Geolier a Sanremo
Geolier a Sanremo

Canzoni, le sue, da Chiagne a Come vuoi, cantate tutte in napoletano, ma “scaricate“ comprate consumate e amate dai ragazzi dell’Italia intera, da Milano a Firenze, da Bologna a Canicattì. Un consenso colossale – quello per Geolier e la sua I p’me, tu p’te – raccontato con estrema chiarezza a fine Festival dai numeri del televoto, il 60%, percentuale più alta mai andata a un artista sanremese.

Solo che Geolier ha – ahilui – almeno due caratteristiche che all’improvviso, protagonista “vincente“ al Sanremo schiacciaAuditel dove si è piazzato secondo, si sono trasformate immediatamente in enormi “difetti“ su cui polarizzare l’odio – via social o talk show pseudoparlamentare –, a prescindere. Caratteristica numero uno: è un ventenne che spopola tra i ventenni – categoria di default politicamente e socialmente inesistente –, dunque un emerito sconosciuto, ma come si permette ad avere tutto questo successo. Caratteristica numero due: è napoletano. E allora vai. Vai col razzismo più bieco: che scandalo tutti quei televoti a uno che “nessuno conosce“ perché sono voti di sicuro taroccati, che scandalo che gli abbiano permesso di portare al Festival della canzone italiana un brano tutto in napoletano, “del quale nessuno capisce nulla“, eccetera.

Il Geolier da Secondigliano che si è presentato in Riviera nei giorni scorsi si è comportato come neanche un gentiluomo inglese, portando rispetto al pubblico che lo fischiava e ai giornalisti che lo attaccavano o addirittura lo offendevano. Il Geolier di qualche anno fa è una questione un po’ più delicata: il padre di quel Giogiò Cutolo la cui storia, raccontata all’Ariston dalla madre ha tanto commosso, si è detto indignato per le celebrazioni napoletane del rapper, che ha definito "impresentabile: uno dei miti dell’assassino di mio figlio e non mi sorprende". E su questo oggi – alla presentazione ufficiale del talent rap di Netflix che lo vede protagonista – è lecito aspettarsi da Geolier un chiarimento. Intanto ieri mattina, a Radio1, il presidente del Veneto Luca Zaia è tornato sulle polemiche legate al testo in napoletano dicendosi favorevole al fatto che a Sanremo siano presenti canzoni "nella lingua del territori", non solo partenopee ma "da recuperare da molte regioni".

Sfugge però quella che è forse la questione centrale dell’“ora di Napoli“, del momento d’oro che la città sta vivendo nel cuore dei più giovani, di tutta Italia: è la Napoli di Geolier come la Napoli della fiction Rai fenomeno Mare fuori, e non a caso proprio gli attori della serie compaiono spesso nei video del rapper. È una Napoli capace di richiamare ragazzini da tutta Italia – pure in gita scolastica – per vedere "O ciel che c sta uardann" di cui canta Geolier e il set dove si gira quella fiction che mescola tra le storie dei detenuti di un carcere minorile passioni arcaiche e contemporanee famiglie disfunzionali, violenze efferate e violenze da cui ci si riesce – sperando, amando – a redimere. Chi – ragazzino – va oggi a Napoli sulle orme di Geolier o di Carmine e Rosa Ricci si ritrova immerso in una città-simulacro che raccoglie il mito, la storia, la spiritualità esasperata nella sua iconografia e partecipazione popolare, un simulacro che è più vivo e attuale di tante città che simulacri non sono, e anzi si moltiplicano in una teoria infinita di non-luoghi. In un mondo fatto di rapporti virtuali, quei ragazzini restano incantati dal fascino della sacralità, decadente ma intrisa di tradizione, di identità. Di anarchia e di convivenza. È a Napoli che tra ’800 e ’900 nacque un’idea di canzone nuova e al tempo stesso antica, mettendo insieme temi tradizionali e di ispirazione operistica, arabismi ed elementi zingareschi. Una saldatura unica e autentica tra la musica e la vita. Una storia antica, che non a caso canta anche oggi.