Venezia, 21 settembre 2024 – Ancora una donna. Dopo Benedetta Tobagi, vincitrice l’anno scorso, il Premio Campiello va a Federica Manzon, autrice di Alma (Feltrinelli). Con 101 voti, Manzon ha preceduto il favorito Antonio Franchini (Il fuoco che ti porta dentro, Marsilio), con 78 voti; Emanuele Trevi, con La casa del mago (Ponte alle Grazie), 66; Michele Mari con Locus desperatus (Einaudi), 33; Vanni Santoni con Dilaga ovunque (Laterza), che ha avuto sei voti.
Manzon, 42 anni, friulana di Pordenone, una vita fra Milano e Trieste, direttrice editoriale della casa editrice Guanda, affronta nel suo romanzo il tema dei rapporti fra una figlia e il padre, ma il suo Alma è anche un romanzo sulla geografia e sulla storia, ambientato lungo il confine orientale, a Trieste e nella Jugoslavia di Tito, poi divenuta ex Jugoslavia con la deflagrazione di una guerra devastante.
“Scrivo – ha spiegato Manzon in un’intervista – per comprendere i tempi che sto vivendo. Nel caso di Alma sono stata spinta sia da una motivazione personale, l’inquietudine del bisogno di comprendere se apparteniamo a certi luoghi o se siamo liberi di sceglierceli, sia dalla constatazione che viviamo in un’epoca che tende a vedere ogni cosa come un pezzo unico. Mi sembra invece che ognuno di noi sia composto da tante parti, frutto delle interazioni con gli altri e con gli ambienti”.
Nel romanzo la protagonista finirà a Belgrado, a osservare dalla parte dei “cattivi“ una guerra civile che ha lasciato ferite profonde. “Credo che il passato – ha detto Manzon – sia pieno di fantasmi, di storie accadute e di persone che le hanno vissute. Alma ha un particolare legame d’amore con il passato, dove la realtà si mescola al desiderio di ricordare”.
Il fuoco che ti porti dentro di Antonio Franchini, che partiva coi favori del pronostico, racconta la vita e la morte di Angela, una donna dal carattere impossibile. Incarna tutti gli orrori dell’Italia, dice l’autore. Ma questa donna era la madre dell’autore, che tratta la materia autobiografica senza esitazioni. Un romanzo di passioni, di odi, di eccessi. Come ha detto Franchini in un’intervista: “Angela è l’emblema di Napoli, forse un po’ del sud e del nostro Paese. Il coacervo di mali nazionali e i cliché che incarna sono tanti, come il disprezzo per tutti i rappresentanti della democrazia europea al quale sottende una logica che, a ben vedere, è oggi diffusa nel sottoproletariato reazionario ma risale al pensiero delle plebi di un tempo nel sud Italia”.
Anche Emanuele Trevi ha pescato nell’autobiografia, parlando però del padre nel romanzo La casa del mago. Mario Trevi, però, non è stato solo un padre, ma un personaggio pubblico, noto quanto riservato psicanalista junghiano. Per il figlio, Mario è il “mago“, l’uomo che salva le persone. Alla sua morte lascia un appartamento-studio che nessuno vuole acquistare, ancora “abitato“ dal tormento psichico di cui è stato teatro, e il figlio alla fine decide di trasferirsi lì.
Vanni Santoni con Dilaga ovunque si è cimentato in un romanzo-documentario, incentrato sulla street art. È un romanzo, il suo, che prende anche posizione: “La dicotomia fra decoro e degrado – ha detto Santoni in un’intervista – è falsa. Dietro c’è una questione prettamente economica: l’ideologia del decoro è un sistema di governance volto a massimizzare i profitti immobiliari, quindi è inevitabile che vada a braccetto con la gentrificazione”.
Michele Mari, nel suo Locus desperatus racconta di un uomo che abita una casa che è per lui “tana- museo”, dove trovano appunto abitazione, o per meglio dire esposizione, una quantità incalcolabile di cose.
Paolo Rumiz ha avuto il premio alla carriera e ha invitato gli intellettuali a “smettere di guardarsi l’ombelico: siamo arrivati – ha detto – a un momento della nostra storia in cui non basta più fare letteratura, bisogna fare narrazione. Non possiamo più rispondere alle ragioni della pancia con l’intelletto, ma con il cuore”.