Lunedì 14 Ottobre 2024
COSTANZA CHIRDO
Libri

Più leggo, più dimentico. Il paradosso del lettore contemporaneo

In un mondo in cui siamo costantemente sottoposti al consumo di contenuti, per il nostro cervello rimuovere informazioni diventa sempre più semplice. Ma nella memoria resta una “traccia”

Una ragazza che legge

Una ragazza che legge

New York, 30 settembre 2024 – “Mentre scorrevo la recente lista del New York Times dei 100 migliori libri del secolo, ero gratificata dal numero di libri lì presenti che avevo letto, ma mi chiedevo se un libro contasse ancora se non ricordavo molto a riguardo – scrive Melissa Kirsch, vice direttrice della sezione Cultura e Lifestyle della testata statunitense – Cosa significa che un libro, uno show, un’esperienza ‘conti’, comunque?”.

In un articolo per il quotidiano, Kirsch propone un’interessante riflessione sulla memoria, su come la utilizziamo, su cosa ci ricordiamo ma soprattutto su cosa dimentichiamo – molto, a quanto pare, e non ha a che fare solo con il normale processo di invecchiamento. “Per un po', ho dato la colpa alla quarantena e allo stress per avermi tolto un po' di lucidità – scrive la giornalista – Ma ultimamente la metafora che mi sembra più appropriata è quella di un computer: sembra che il mio hard disk sia pieno.” Kirsch si riferisce alla quantità di contenuti a cui siamo sottoposti e che consumiamo ogni giorno: “Sto leggendo, guardando e ascoltando così tanto” ammette. E il tutto si aggiunge all’esperienza della vita reale, “per non parlare dei sogni a occhi aperti” o delle “lunghe riflessioni”. A pensarci bene, c’è tanto materiale da registrare e processare per il nostro cervello ogni giorno: è ovvio che qualcosa vada perso.

Ma allora ha ancora senso, ad esempio, leggere un libro, se probabilmente prima o poi ce lo dimenticheremo? Ha senso affermare di aver letto un libro, se di esso ci ricordiamo poco o niente? Pervasa da queste domande, Kirsch racconta di essersi imbattuta in un saggio di James Collins pubblicato nel 2010, intitolato “La trama mi sfugge”. Nel testo, l’autore parla di libri che ha letto, ha amato, ma di cui non ricorda nulla se non “un’atmosfera e un’immagine qua e là”. “Collins sospettava, come me, che i libri che non riesce a ricordare dovessero comunque aver avuto un effetto sul suo cervello” scrive Kirsch, parlando della lettura come di un’esperienza che ci cambia in modo profondo, che va oltre il ricordare i dettagli della storia.

A confermare è la neuroscienziata Maryanne Wolf: “Non possiamo recuperare i dettagli, ma per adattare una frase di William James, c’è una sorta di traccia della memoria – ha detto – Le informazioni che ottieni da un libro sono archiviate in reti. Abbiamo una straordinaria capacità di memoria, e c’è molto più di quanto ci rendiamo conto”. Dopo aver letto il saggio di Collins, Kirsch ha deciso di fare più ricerca sull’autore: dopo 15 minuti e sei schede diverse già aperte sul suo laptop, la giornalista si è resa conto che il motivo per cui il suo cervello è “stracolmo” è che c’è un’enorme quantità di informazioni disponibili. Di conseguenza, “Non vedo l’ora di leggere il romanzo di Collins, e non vedo l’ora di non ricordarne assolutamente nulla”, conclude.