Ferdinando Agnini nel ’44 ha diciannove anni. Nato in Sicilia poi arrivato a Roma, studia Medicina alla Sapienza: dopo l’8 settembre 1943, con un paio di amici, ha fondato l’Associazione rivoluzionaria studentesca italiana (Arsi) e anche un giornale, La Nostra Lotta. Attivo nella resistenza, entra nelle Brigate Garibaldi del partito comunista. Sfugge a un primo arresto, poi lo prendono insieme col padre; viene torturato in via Tasso.
Augusto Zironi, sottotenente di vascello, ha 23 anni. Imbarcato fra ’41 e ’43 su varie navi da guerra, si è guadagnato la medaglia di bronzo al valor militare. Dopo l’armistizio sfugge alla cattura da parte dei tedeschi, si rifugia nella sua Genova e poi tenta di passare le linee e unirsi al Regno del Sud e quindi agli Alleati. A Roma però viene arrestato, con tre colleghi ufficiali in fuga anche loro verso Sud, dopo una delazione. Viene torturato in via Tasso.
Agnini e Zironi sono il primo e l’ultimo – in ordine alfabetico – dei 335 cittadini inseriti nella lista di Herbert Kappler e passati per le armi alle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944. Mario Avagliano e Marco Palmieri in Le vite spezzate della Fosse Ardeatine (Einaudi) raccontano una per una le biografie dei 335 cittadini uccisi nella rappreseglia – ma si trattò, più precisamente, di un’azione criminale non giustificata da alcuna “regola“ di guerra – e offrono così uno spaccato dell’altra Italia che lottò contro il fascismo repubblicano e l’occupante nazista. Per due terzi erano appartenenti alle forze politiche antifasciste, ma c’erano anche militari, civili e 78 ebrei in attesa di deportazione.
l. g.