Lunedì 29 Aprile 2024

La rivoluzione di Marlon Brando, l’attore che ha cambiato il cinema

Cento anni fa nasceva il divo di “Fronte del porto“ e “Il padrino“. Grande innovatore, imitato dai colleghi

La rivoluzione di Marlon Brando. L’attore che ha cambiato il cinema

La rivoluzione di Marlon Brando. L’attore che ha cambiato il cinema

Roma, 2 aprile 2024 – Considerato quasi unanimemente il più grande interprete di tutti i tempi, nessuno come lui ha lasciato un’impronta tanto potente nella storia del cinema. Fino al giorno della sua apparizione sulla scena, gli attori non parlavano come si parla nella vita, gli attori “recitavano”. La notte in cui debutta, a soli ventitré anni, interpretando il ruolo di Stanley Kowalski nel dramma di Tennessee Williams, Un tram che si chiama desiderio, il lavoro dell’attore cambia per sempre.

Allora sulla scena non c’era uno che fingeva, c’era uno che viveva. Su quel palco c’era uno che aveva un magnetismo animale ipnotico (caratteristica che l’ha reso immortale), c’era uno con il fisico da pugile e la faccia da bambino che ti veniva voglia di abbracciare, c’era uno con una sensualità a tratti femminea mista a una forte virilità che sprizzava da ogni poro: insomma, c’era uno che ti lasciava a bocca aperta. (...)

Parte della critica conservatrice di allora urla allo scandalo, altri lo capiscono, ma l’onda travolge tutti. In pochi anni il “metodo Brando” (che altro non era che l’apoteosi del metodo Stanislavskij con il quale si era formato, alla scuola di un’ebrea newyorkese illuminata, l’attrice Stella Adler) viene copiato, ammirato, idolatrato, imitato. I giovani di tutto il pianeta (compreso James Dean, che ebbe una specie di ossessione e di volontà di imitazione nei suoi confronti) cominciano ad atteggiarsi come lui.

In seguito preso a modello anche dai suoi colleghi di ogni parte del mondo e di ogni generazione futura, proprio come Napoleone (che in un film ha impersonato a modo suo), Marlon Brando è stato più volte nella polvere e più volte sull’altare. Da astro mondiale per molti anni, incontrastato numero uno, è poi decaduto tanto che a un certo punto lo si è dato per finito; ma ha avuto, poi, la capacità di risorgere, con interpretazioni che sono fra le più sublimi di tutti i tempi: Il Padrino, Ultimo tango a Parigi e Apocalypse Now.

Ambientalista e animalista ante litteram, a fianco di tutte le battaglie antirazziste o a favore di ogni minoranza (afroamericani, natives, i poveri con i quali si unisce in marcia a Washington, gli oppressi di ogni tipo); la rivista Time l’ha messo fra le cento persone più influenti del ventesimo secolo (unico attore), in compagnia di artisti come i Beatles, James Joyce, Pablo Picasso e Coco Chanel. (...)

Marlon già da bambino sente il dovere di aiutare le persone meno fortunate di lui, non stupisce infatti che crescendo, e schierandosi in mille cause contro le ingiustizie di qualunque tipo, rimugini sempre più spesso sul ruolo dell’attore e del fare cinema, cose che via via gli sembrano sempre più inutili e stupide. Si offre volontario per aiutare l’Unicef, a cui fa enormi donazioni personali, diventa una specie di ambasciatore, e sempre per l’Unicef gira spot televisivi e viaggia in tutto il mondo.

Per quanto riguarda quella sua professione, che più di una volta dichiara di detestare e che invece non abbandonerà mai, stupisce che fra i modelli di attore che nomina come maestri ideali, che l’hanno influenzato, ci siano nomi inusuali, non scontati, misconosciuti. Cita Paul Muni, o il suo amico Montgomery Clift, parla del suo sodale Karl Malden (e in altre occasioni aggiunge due francesi: Gérard Philipe e Jean-Louis Barrault). Non ha poi paura di dire la sua opinione con schiettezza anche sui grandi maestri del cinema, su Charlie Chaplin, per esempio, che lo dirige in quello che sarà l’ultimo film del genio creatore di Charlot (e non solo). Ammette i grandi meriti del regista, ma semina svariati dubbi sulle qualità personali dell’uomo.

Un’altra vera sorpresa sta nel leggere quelli che Brando dichiara essere i registi migliori con i quali ha lavorato. Il primo è ovviamente Elia Kazan (l’unico con cui ha collaborato prima in teatro e poi in tre film, colui che l’ha lanciato, che ha contribuito a costruire il suo talento e che gli ha dato il coraggio di sperimentare). Ma stupisce poi che citi i due registi italiani con i quali sul set ha litigato anche ferocemente, quasi arrivando alla violenza fisica: Bernardo Bertolucci e Gillo Pontecorvo (“Con Gillo siamo stati sul punto di ammazzarci,” scrive Brando, e fonti sicure di persone che c’erano mi dicono che è vero: Gillo si aggirava sul set con una pistola).

Lascia pure meravigliati la mancanza del nome di Francis Ford Coppola fra i suoi registi prediletti. Coppola è stato la colonna portante della risurrezione di Brando attore, avendolo voluto nei capolavori della maturità (Il Padrino e Apocalypse Now)

Riguardo al suo unico film da regista non si sofferma poi così tanto, quantomeno non in questo autoracconto, e viene da chiedersi se mai abbia avuto il tempo di sapere che il divo degli autori cinematografici contemporanei, il nuovo maestro, Quentin Tarantino, ha dichiarato in più di un’occasione di considerare l’esordio alla regia di Brando (I due volti della vendetta) una delle dieci opere prime più rilevanti di sempre.

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