Martedì 30 Aprile 2024

"Io, bipolare". Kim e le altre dive fragili

A 88 anni la Novak si confessa: "Mi davo pace solo dipingendo". In una lunga intervista l’attrice cult di Hollywood racconta i suoi dolori

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di Giovanni Bogani

Bellissima. Bionda, capelli corti, occhi chiari, movenze feline, languide. Se c’è un’attrice che nella Hollywood degli anni ’50 ha incarnato dolcezza, sensualità e trasgressione è lei, Kim Novak. Lei che strappa dall’abisso il tossicodipendente Frank Sinatra ne L’uomo dal braccio d’oro di Otto Preminger; lei che tiene testa a Dean Martin in Baciami, stupido! di Billy Wilder. Lei che, in Vertigo di Hitchcock, è velluto e musica, icona perfetta del cinema hitchcockiano, simbolo dell’ossessione erotica.

Oggi, Kim Novak si confessa in una lunga intervista, un mese dopo il suo ottantottesimo compleanno. E racconta una vita che non è stata tutta rose e fiori.

Una vita segnata anche dal disturbo bipolare. Il suo nome si aggiunge ad una lunga lista di attrici segnate dalla sofferenza mentale: un lungo cammino che va da Frances Farmer, diva di Hollywood finita nell’inferno dell’elettroshock e della lobotomia, a Winona Ryder tormentata dalla depressione, a Emma Stone che ha vinto una battaglia con gli attacchi di panico.

Una strada che passa anche da Marilyn, vittima di un cocktail mortale di barbiturici. A lei va meglio. Il padre, racconta, soffriva di malattie mentali.

Sperava nel suo affetto Kim, ma trovava in risposta solo silenzi. Un giorno, quando era ragazzina, fu violentata da un gruppo di ragazzi del vicinato in un’auto. Non lo disse mai ai genitori. Non furono più felici gli esordi.

Capitò alla Columbia per un provino, doveva dire alla telecamera: "Quello che voglio dalla vita è essere amata". Lo disse, pensandolo. E fu presa. Ma il capo della Columbia, Harry Cohn, non era proprio l’immagine dell’amore. Aveva una foto di Mussolini nello studio, pensava alle attrici come a del “materiale“; urlò alla segretaria "portatemi quella grassa polacca scema", nonostante lei non fosse né grassa, né polacca, né scema.

Il suo è stato l’ultimo volto con cui la Hollywood classica si è presentata al mondo. E pochi anni dopo, la sua carriera era già praticamente finita. Negli anni ’70, si ritirò in un ranch nell’Oregon con i suoi cani,dimenticò il cinema. Lì, a dipingere e guardare l’oceano. Nel 1976 sposa un veterinario, Robert Malloy. E a volte lo accompagna nelle sue visite a domicilio. I clienti che si fanno curare il cavallo vedono apparire una che assomiglia a Kim Novak, e restano stupefatti. "Ma... ma è lei?".

Malloy è morto l’anno scorso. "La pandemia non ha cambiato molto nella mia vita - sospira l’attrice - . Vedevo solo lui, e adesso non vedo nessuno".

Infine, Kim Novak rivela una diagnosi che spiega, forse, i suoi sentimenti ambivalenti verso Hollywood. "Scoprii di essere bipolare. E ho pensato: ecco, tutto ha un senso. Capisco meglio la mia storia", le sue parole.

Per tenere sotto controllo il suo disturbo, dipinge. Acquarelli, pastelli, colori a olio. A cui affida i suoi fantasmi e le sue ossessioni. Gli ultimi quadri sono ispirati al movimento #Metoo.

"Ho avuto le mie esperienze di quel genere, con produttori e altri", dice. Lo dice tranquilla, come se tutto facesse parte di quel tritacarne che è la vita.

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