Vaccarino
Fluidità, femminismo, identità, fragilità: ecco i temi ossessivi della danza contemporanea dell’ultimo lustro superati d’un sol balzo da un trio di artisti, (La) Horde della generazione Z, alla testa del Centre chorégraphique national/Ballet de Marseille. Marine Brutti con Jonathan Debrouwer e Arthur Harel, tutti under 40, sono “la rottura nella continuità”, al modo francese, che ha visto il polo marsigliese della danza passare dal fondatore Roland Petit nel 1972 con i suoi balletti neoclassici, a Marie-Claude Pietragalla, étoile dell’Opéra parigina (1998 e il 2004), al belga Frédéric Flamand, attento al binomio danza-architettura fino al 2014, all’italiano “estremalista” Emio Greco con l’olandese Pieter Scholten (2015-2018) e ora al trio-orda “post-internet” con pezzi contundenti, live e video.
Il loro Ballet de Marseille torna ora a Bolzano Danza, il 26 e 27 luglio, con Age of Content sui “contenuti” di realtà e virtualità che tutti viviamo, fresco di creazione. Nella loro città-campo d’azione hanno appena celebrato con clamore la “scène ballroom”, quella della fortunatissima serie Pose, nel Pride 2Weeks, affidandosi a Lasseindra Lanvin, la femminista del Vogueing francese, a Yaice da Barcellona, a Caroline-Old Way, Malakai Mulan dalla Germania.
Marine Brutti è la portavoce di una postura di battaglia vincente, come nella hit Room with a View con la musica dal vivo del produttore Rone, e nei programmi misti eccitanti, a firma Childs, Carvalho, Ninja, Doherty, Bengolea-Chaignaud, Peeping Tom, il Gotha dei/delle ribelli geniali dei nostri giorni.
Marine, com’è nato il legame con Bolzano Danza, che festeggia i quarant’anni con una mostra mentre presenta il vostro Age of content?
"Si può dire che abbiamo portato qui tutti i nostri lavori – sorride Marine – Invitati regolarmente dal direttore Masi, che ci ha scoperti; siamo diventati quasi un po’ parenti".
Tra scena e schermo, tra danza e film, come lavora il collettivo (La) Horde?
"Siamo portatori di formazioni diverse, scenografia, regia, danza; la danza è uno dei nostri media; discutiamo molto, usiamo ciò che ci serve di volta in volta. Oltre ad essere un centro di azione culturale, dal 2019 il nostro status è cambiato; avendo in mano per quattro anni, rinnovabili fino a dieci, uno strumento meraviglioso, il Ballet de Marseille, abbiamo subito voluto curare una mostra con il Centre National du costume et de la scène per raccontare la vicenda della compagnia. Adesso abbiamo tanto da raccontare di nostro, avendo il potere di farlo, ma ci piace redistribuire e condividere questo potere con altri artisti, accompagnarli, invitarli a creare a Marsiglia con ballerini di enorme talento e duttilità".
Viviamo, secondo voi, in una Age of Content? In che senso?
"Ci sentiamo parte di un processo più ampio, con contenuti di presa sul sociale per cercare di capire la complessità del mondo. Se anche non fosse già tra le nostre mission, vorremmo comunque rivolgerci al territorio, ai giovani, ai disagiati; apriamo le prove, portiamo la danza gratis al Vieux Port, a migliaia di persone. Essere sempre itineranti è anche un vantaggio, non solo un limite".
Il mondo dei videogiochi, degli avatar, dei replicanti, di Tik Tok, dei “contenuti” appunto, come vi ispira?
"Pensiamo che sia un mondo molto creativo, che evolve in tempo reale e impatta sui corpi e sui sentimenti; vogliamo fare nostro questo mainstream, che anima le emozioni di massa".
L’universo ballroom vi coinvolge? E la street dance, il tekstyle e il jump style come per To Da Bone nato sulla scena musicale hardcore? E i movimenti LGBTQ+? Per quali ragioni?
"La scena su cui noi tre ci siamo incontrati, come giovani adulti, è stata quella del milieu queer; qui abbiamo cominciato a interrogarci, a elaborare un pensiero critico sul corpo e sulla sua immagine come campo di lotta e di arte insieme".