Bestseller annunciato, è uno dei gialli più attesi dell’anno, col risvolto di copertina che avverte: "... i fili che intrappolano queste vite portano lontano nel tempo ... in un passato che insegue il presente e che Sophie e Arpad dovranno affrontare per risolvere un intrigo diabolico, dal quale nessuno uscirà indenne. Nemmeno il lettore". Ed effettivamente le 440 pagine dell’ultimo thrillerone di Joël Dicker almeno un piccolo danno lo fanno patire, al lettore, giusto per quei due o tre minuti successivi alla chiusura del volume, quando è inevitabile che il lettore si chieda – con un filo sì di scoramento – ma insomma dove diavolo è finito l’autore de La verità sul caso Harry Quebert?.
Il nuovo thrillerone s’intitola Un animale selvaggio: al centro c’è una coppia, lui alto funzionario di banca e lei avvocata dei vip, bellissimi, vite felici e lussuose con i due piccoli figli in una villa di vetro tra i boschi, Ginevra. Tutto fantastico finché, malcelate dai modi amichevoli, prendono a emergere le invidie e le ossessioni per (soprattutto) Sophie covate dalla coppia dei vicini di casa – lei commessa, lui poliziotto; e finché la routine dorata prende a infrangersi vorticosamente causa l’apparire e proliferare dei tanti fantasmi del passato – segreti, tradimenti, malaffari – ognuno col suo quadruplo e quintuplo colpo di scena pronto in canna.
Più Adrian Lyne che Hitchcock, il giallo – il cui nucleo è l’assillo voyeuristico – scorre in un baleno, la scrittura e il meccanismo di aggancio funzionano come al solito alla grande, ci mancherebbe, dopodiché, però, il vuoto. Il vero thriller non è il libro ma lo è sempre più Dicker (il cervello di Dicker): come può lo stesso scrittore usare un giallo per creare mondi interi vivi e pulsanti (Quebert) e usare il giallo sucessivo (La camera 622, quest’Animale) per vagare nel nulla, destinazione la sistematica autodistruzione? Persino Alaska era meglio.
cdc