Venerdì 18 Luglio 2025
LORENZO GUADAGNUCCI
Magazine

Facio, il partigiano scomodo. E incompreso

“Ottavo“ dei fratelli Cervi, fucilato da compagni di lotta dopo un processo farsa, poi riabilitato. Ma la sua figura resta sottovalutata

Facio, il partigiano scomodo. E incompreso

di Lorenzo Guadagnucci

Era calabrese, parlava benissimo francese ed era pieno di estro e di talento: pur autodidatta, dipingeva, scriveva, e soprattutto era un antifascista militante; a guerra in corso, prima ancora dell’8 settembre 1943, cominciò a frequentare la cascina di Gattatico della famiglia Cervi. Fu arrestato il 25 novembre ‘43 con i sette fratelli, il loro padre Alcide e altri componenti della banda che stava imperversando nella campagna reggiana con assalti, boicottaggi, azioni varie di guerriglia. Si salvò dalla fucilazione spacciandosi per militare gollista e poi evadendo rocambolescamente (si calò da un bastione del carcere di Parma usando del filo spinato): si potrebbe dire che Dante Castellucci, detto Facio, fu l’ottavo dei fratelli Cervi, tanta fu la sua condivisione del loro stesso impeto.

Ritrovata la libertà, Dante si diede senza riserve alla guerriglia partigiana nell’Appennino reggiano e in Lunigiana, col desiderio di proseguire l’impegno dei compagni trucidati. Ma se nomini il comandante Facio, come si faceva chiamare, inevitabilmente si apre la pagina più dolorosa della nostra resistenza. Facio fu in vita una sorta di mito popolare, per il suo coraggio e le sue imprese fuori dal comune, ma è stato anche, per la sua morte, un buco nero nella storia della lotta partigiana.

Il comandante del battaglione “Picelli“ fu fucilato in località Adelano, poco distante da Zeri in Lunigiana, da suoi compagni di lotta, ma di altre formazioni, all’alba del 22 luglio 1944: non aveva ancora compiuto 24 anni. La sera precedente aveva subito uno sbrigativo processo partigiano: accusato di avere sottratto materiali bellici destinati ad altri gruppi, era stato condannato a morte. Sulla sua vicenda, a guerra finita, calò il silenzio, tale era l’imbarazzo: si sapeva negli ambienti degli ex partigiani che Facio non meritava la condanna e che fu vittima, piuttosto, di un regolamento di conti avvenuto in casa comunista: una storia di gelosie e lotte di potere, uno scontro fra gruppi combattenti in competizione fra loro per ragioni politiche e militari. Col tempo Facio è stato riabilitato e la sua dolorosa vicenda è divenuta un caso di scuola nella “riscrittura” (non revisionistica) della resistenza. Nel 2007 un libro di Spartaco Capogreco, Il piombo e l’argento, ricostruì i fatti e diede a Facio ciò che era di Facio, aprendo la via a una nuova visione della lotta partigiana, meno idilliaca e più realistica, comprensiva quindi degli errori, delle ingiustizie, delle meschinità fin lì taciute.

Restarono – e restano – alcune ombre sulla catena degli eventi, sui responsabili e sulle motivazioni che portarono alla fucilazione di Facio, ma rimane anche e forse soprattutto un dubbio, cioè se Dante Castellucci – detto dai suoi compagni anche “il Calabrese” – sia stato restituito alla storia d’Italia e della resistenza per quello che davvero fu. Nel 1963 fu “riabilitato” con una medaglia d’argento al valor militare e una motivazione tronfia di retorica che conteneva una pietosa menzogna sulle circostanze della sua morte: "Valoroso organizzatore della lotta partigiana, incurante di ogni pericolo, partecipava da prode a numerose e cruente azioni. Scoperto dal nemico si difendeva strenuamente; sopraffatto e avendo rifiutato di arrendersi, veniva ucciso sul posto. Esempio fulgido del più puro eroismo". Una beffa. E Pino Ippolito Armino, nel suo libro Indagine sulla morte di un partigiano. La verità sul comandante Facio (Bollati Boringhieri 2023), fa notare che solo il suo paese natale, Sant’Agata di Esaro, in provincia di Cosenza, gli ha dedicato uno spaizo pubblico (la piazza principale).

Eppure Facio insorse in armi contro il fascismo ancora prima della caduta di Benito Mussolini e dell’8 settembre, conducendo un temerario assalto al poligono militare di Guastalla: era il giugno 1943. Fu quindi un partigiano ante litteram, un pioniere della guerriglia. Faceva parte, come i Cervi, dell’antifascismo più interventista, poco convinto dell’attendismo e della prudenza inizialmente scelti dai dirigenti del Pci, i quali poco lo amarono e anzi lo sospettarono come spia per la sua evasione, arrivando a ordinarne l’eliminazione fisica, ordine poi superato grazie alle sue spericolate azioni di guerriglia e alla fiducia riconquistata sul campo.

Ippolito Armino sostiene che Facio andrebbe riconosciuto come "uno dei nostri maggiori comandanti partigiani". E accredita come sua una memoria giunta a noi solo in trascrizione e che avrebbe scritto poco prima di morire ingiustamente, col cuore infranto nel vedersi tradito e abbandonato dai suoi stessi compagni: "C’era in me istintivo il bisogno della lotta e credo di aver provato la mia fede rivoluzionaria in molte azioni e anche quando iniziai solo contro tutti i poteri dello stato (...) Deploro soltanto che la morte mi impedirà di vedere il dopoguerra; la ricostruzione nostra per la quale ho cercato di lavorare".