Roma, 14 novembre 2024 – L’arte e la scienza sono libere per natura, come rimarca anche la nostra Costituzione. Teatro, letteratura, arte e ricerca scientifica oltrepassano le barriere delle lingue, delle culture, delle diseguaglianze. Fare ricerca scientifica, così come fare teatro, significa attraversare confini e costruire ponti. Questo libro nasce con la duplice speranza di rappresentare in modo plastico ponti fra umanesimo e scienza e di essere una piccola prova di ricongiunzione di queste due culture al servizio della società civile.
Conoscenza scientifica e sapere umanistico; medicina e letteratura, teatro, arte: ogni volta, nelle loro occasioni d’incontro, accade qualcosa come il ritmo di una differenza e di un’affinità. L’enigma della distanza – apparentemente invalicabile, eppure dalla notte dei tempi sempre varcata – si scioglie all’ombra di una presenza sfuggente che sembra incarnarsi nei folgoranti versi della quinta parte della Terra desolata di Thomas S. Eliot: "Chi è il terzo che ti cammina sempre accanto? / Quando conto, ci siamo soltanto tu e io insieme, / Ma quando guardo avanti alla strada bianca / C’è sempre un altro che ti cammina accanto / Scivolando ravvolto in un mantello bruno, incappucciato / Non so se uomo o donna / – Ma chi è che ti sta all’altro fianco?".
Per provare a scoprire quali specifici lineamenti assuma la misteriosa “figura” che si colloca al confine delle due terre menzionate in precedenza, bisogna continuare a rivolgersi al mondo della poesia. Stoccolma, 7 dicembre 1996. Nel suo discorso per il conferimento del premio Nobel, all’insegna di una personale capacità di unire la profondità di pensiero a una leggiadra vena ironica, Wisława Szymborska celebra il valore di due grandi scienziati di epoche differenti – Isaac Newton e Maria Skłodowska Curie – esaltandone la vocazione alla curiosità e il coraggio di rifiutare categoriche certezze a favore, invece, di un dinamico esercizio del dubbio: "Se Isaak Newton non si fosse detto “non so“, le mele nel giardino sarebbero potute cadere davanti ai suoi occhi come grandine e lui, nel migliore dei casi, si sarebbe chinato a raccoglierle, mangiandole con gusto. Se la mia connazionale Maria Skłodowska Curie non si fosse detta “non so“, sarebbe sicuramente diventata insegnante di chimica per un convitto di signorine di buona famiglia, e avrebbe trascorso la vita svolgendo quest’attività, peraltro onesta. Ma si ripeteva “non so“ e proprio queste parole la condussero, e per due volte, a Stoccolma, dove vengono insignite del premio Nobel le persone di animo inquieto ed eternamente alla ricerca".
Sono, dunque, "due piccole paroline" ad affascinare la poetessa polacca indicandole il sentiero da seguire per la sua stessa arte: non so. È proprio nel nome della più semplice, e insieme della più destabilizzante, delle consapevolezze che si rinnova la prossimità tra scienza e cultura umanistica, accomunate da un analogo anelito a interrogare la realtà, a formulare un catalogo infinito di domande. Nella volontà di ripercorrere alcuni luoghi canonici della riflessione letteraria, teatrale e artistica sulla medicina, la malattia (nella sua evidenza di “fatto sociale” e nelle plurime manifestazioni fisiche e mentali che la contraddistinguono), la morte, il corpo, la cura – lungo una traversata dall’esteso arco cronologico, condotta per stazioni in cui si intrecciano molteplici destini, e se ne intravedono tanti altri in filigrana, nella loro assenza –, le pagine di questo libro sono un omaggio alla ricerca inesausta di quesiti, al desiderio di confrontarsi con la propria finitudine e sofferenza, accettando di possedere una parola e un pensiero fragili, da mettere in discussione e da cui continuamente ripartire.
In fondo, questo libro racchiude l’ambizione di custodire una dimensione “etica”, invitando a guardare il presente con gli occhi, le visioni e le fragili parole di chi ci ha preceduto, e suggerendo di abitare il proprio corpo e il proprio pensiero non dimenticando lo spazio che a essi ci lega e ci separa.