Martedì 30 Aprile 2024

Una secchiona di nome Alice

L’attrice, tra le interpreti di Doc, si confessa: "A teatro studio l’autore e tutta la sua opera. Voglio essere sempre molto preparata"

Una secchiona di nome Alice

Una secchiona di nome Alice

Prima la schermo poi il teatro; il costante allenamento e la recitazione hanno aiutato Alice Arcuri a vincere il suo fisico delicato, superare i problemi e darsi una seconda chance, non più da atleta ma da attrice. E l’ha fatto con grande impegno e successo concretizzatosi con importanti interpretazioni televisive dedicate a un maestro che non dimenticherà mai e che l’ha portata sulle scene allo Stabile di Genova, la sua città: Marco Sciaccaluga, genio che se n’è andato troppo presto.

Alice, che cosa era Sciaccaluga per lei?

"Un maestro assoluto, di teatro e di vita. Mi ha insegnato tutto quello che so della recitazione, dello stare in scena. Dopo la sua morte non riuscivo più a entrare in sala, la prima volta ho fatto le scale al rallentatore oppressa dal fatto che non lo avrei trovato sul palcoscenico".

E che cos’è il teatro per lei?

"Vertigine, respiro, umanità. Mi faccia usare una frase che Marco ripeteva sempre e che è perfetta: il teatro è il luogo dove risuona la voce degli uomini".

E la tv dove la vediamo protagonista de ’Il clandestino’?

"Divertimento, intimità, relazione. Il cinema invece è Immortalità, poesia, istante".

Alice, come ci si approccia a questi tre generi?

"Al teatro come a una tesi di laurea. Studio l’autore, mi leggo tutti i libri che parlano di lui e della sua opera. Voglio essere preparata su tutto".

Un lavoro complesso...

"Un lavoro verticale che parte dalla memoria: imparo il copione, me lo porto sempre dietro e lo riempio di post it. Mi creo una mia linea temporale e poi in ogni scena cerco una fase climax che mi sveli l’essenza pura. Il mio è un lavoro molto matematico che deve portarmi a definire l’es, l’io e il super io che sono utili per realizzarci".

Cinema e tv in questo sono più... semplici?

"Sono più libera, quella libertà che in teatro cozza contro l’ansia da prestazione che al cinema e in tv non c’è. In televisione è padrone il tempo, nel cinema la struttura è una via di mezzo, ma più simile al teatro".

In teatro il testo è più determinante che nelle altre forme di rappresentazione?

"In teatro soprattutto se reciti autori come Bergman, Cechov o Pinter ti devi fare il segno della croce e sperare: tu sei una particella e non puoi domare il testo, è lui che ti doma"

Quanto le sono serviti questi copioni per recitare ad esempio una parte come Cecilia Tedeschi in ’Doc. Nelle tue mani’, l’infettivologa quasi vendicativa per l’amore che il dottor Fanti non ha contraccambiato?

"Molto. Anche con Sciaccaluga ho fatto parti da cattiva, come Regan nel ‘Re Lear’ shakespeariano o Ruth in ‘Il ritorno a casa’ di Pinter. Personaggi respingenti di cui devi scoprire la chiave di volta e capire che traumi hanno determinato i loro comportamenti per cercare di farli amare e comprendere".

Anche la Carolina Vernoni de ’Il clandestino’ è un personaggio molto confuso e traumatizzato...

"Sia lei sia Luca Travaglia, vale a dire Edoardo Leo, sono braccati da fantasmi personali, da qualcosa che gli mangerà i piedi. L’amore fra loro è difficile perché non vogliono abbandonare i propri dolori, hanno paura di guardarsi dentro".

A complicare tutto ci si mette anche il rapporto con la figlia...

"Un rapporto sbilanciato, conflittuale. Carolina è una donna in fondo ancora bambina. Entrambe non riescono a pensare a se stesse svincolate da una figura che le protegga".

Alice è schiava dello share?

"No, non incide per nulla sul mio umore. Sono felice quando mi dicono che il risultato è di qualità. Quello conta e molto".

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