Dopo il successo internazionale di Povere creature! (quattro premi Oscar) Yorgos Lanthimos torna al racconto allegorico, motore dei suoi primi film (Alps, Lobster) magari imperfetti ma capaci di sollecitare lo stupore della platea. Lo fa sfruttando al meglio i benefici di uno sperimentato amalgama che tiene insieme lo sceneggiatore di sempre, Efthimis Filippou, con interpreti feticcio quali Emma Stone, Willem Dafoe e Margaret Qualley a cui s’aggiunge oggi Jesse Plemons (Il potere del cane).
Kinds of Kindness, presentato ieri in Concorso, è sì un racconto ma uno e trino; composto di tre parti ben distinte, riconducibili a un motivo conduttore: l’intreccio di potere, morte e desiderio.
Nel primo un misterioso magnate determina il benessere e l’apparente felicità di un impiegato riempendolo di attenzioni e di doni ma regolando la sua vita. Imponendogli cosa mangiare, come vestire, quando fare all’amore, se avere figli ed entrando, all’occasione, nel suo letto. Chiede in cambio poco o nulla fino al giorno in cui gli impone una prova che farebbe di lui, seppure indirettamente, un assassino. L’uomo si rifiuta, rivendica un’indipendenza che è però l’inizio di un malessere destinato a farlo tornare sui suoi passi.
Nel secondo un poliziotto lamenta la perdita della moglie dispersa in mare, ma trova nel lutto un proprio equilibrio basato su una memoria parziale. Ne rievoca la presenza mostrando a una coppia amica i filmati delle loro performance erotiche e trasforma l’assenza in apparente presenza. Quando la moglie, superstite, riappare e torna a vivere con lui ne sospetta l’identità e chiede prove sempre più impegnative e macabre della sua veridicità.
Nella terza una setta i cui membri sacrificano tutto alla purezza del corpo persegue incessantemente la ricerca di rare figure elette capaci di ridare vita ai defunti. Il caso vuole cha a trovarne una sia un’adepta messa al bando per aver fatto all’amore con l’ex marito, infettandosi.
Le tre vicende, che sembrano svolgersi nel medesimo universo californiano, non spartiscono apparentemente che gli interpreti, chiamati a ruoli ovviamente diversi, ma sono concepite come vasi comunicanti cosicché lo spettatore riesce, grazie a una sorta di continuum inconscio, a passare dall’una all’altra conservando la medesima predisposizione e lo stesso stato d’animo.
In ognuna è infatti in gioco il precario equilibrio tra la voglia di essere amati, accettati e persino controllati e quella opposta di mantenere il controllo di se stessi rischiando di perdere il benefico(?) stordimento amoroso; così come quella di ineludibile di determinare il destino di chi ci è a fianco.
Lanthimos torna, come già in Povere creature! e ancor prima in Il sacrificio del cervo sacro, al tema della libertà come diritto oneroso da esercitare spesso contro le convenzioni sociali che abbiamo imparato ad accettare. In assenza della fonte letteraria – che sia quella prossima del romanzo di Alasdair Gray o quella lontana della tragedia di Euripide – il regista arriva a creare cosmi realistici pur nell’ambito di suggestioni che stregano senza spingersi nell’arcano.
Kinds of Kindness si muove sulla scia di un realismo magico dalle eco letterarie (dall’alto di Karen Blixen al basso della fantascienza più anodina) anche se una mancanza di equilibrio talvolta evidente di alcuni frangenti affligge una malcelata ambizione. Se comunque l’impasto trova alla fine forma molto si deve agli interpreti: all’estro di una Emma Stone musa versatile sono complementari la fissità, qui necessaria, di Jesse Plemons e l’istrionismo riservato di Willem Dafoe.
In Kinds of Kindness il regista greco mette insieme, come d’abitudine, autorialità e genere. Gli inserti in bianco e nero, i virtuosismi visivi e gli accorgimenti di montaggio personalizzano il tocco ma alla lunga rivelano una meccanicità della narrazione che è (quasi sempre, eccezion fatta per La Favorita), insieme agli ammiccamenti simbolici, il vero tallone d’Achille di Lanthimos.
Andrea Martini