Mercoledì 2 Ottobre 2024
GIOVANNI BOGANI
Magazine

La musica cubana conquistò il mondo. Torna “Buena Vista Social Club“

A distanza di 25 anni arriva nelle sale il film di Wenders su Compay Segundo e gli altri vecchietti terribili

I Buena Vista Social Club

I Buena Vista Social Club

Roma, 1 giugno 2024 – Era il febbraio 1999, venticinque anni fa. Al festival di Berlino, tanta attesa per il nuovo film di Wim Wenders, il regista di Paris, Texas e del Cielo sopra Berlino. Buio in sala, e vediamo Cuba. L’Avana, piena di povertà, di colori, di vecchie Cadillac anni ’50, di alberghi lussuosi mangiati dal vento e dal mare, di prostitute, di bambini che giocano per strada, mercati improvvisati, ragazze che cantano. E in mezzo a tutto questo, un gruppo di musicisti nella terza età (anche ultranovantenni). I Buena Vista Social Club. Vecchi con le dita piene di musica, pieni di gioia sotto il cappello.

Si riaccendono le luci, e siamo tutti commossi. Abbiamo incontrato un altro mondo. La macchina da presa di Wenders ci ha portati dentro le vite di questi vecchi, dentro la vita di Cuba, isola baciata da sole, soffocata dall’embargo proclamato dagli Stati Uniti. Un mondo fuori dallo spazio e dal tempo. Musicisti che si sono inventati strumenti musicali tutti loro, come una chitarra a sette corde invece di sei. Vissuti in un isolamento totale, all’ombra del “Che“ e di Fidel. E che, quando camminano per New York, vedono in una vetrina le immagini di Marilyn e John Fitzgerald Kennedy, e non sanno chi siano.

Era un bellissimo film, ed era nato – come quasi tutto, in questa vita magmatica e imprevedibile – quasi per caso. Nel 1996, due anni prima, il musicista americano Ry Cooder era andato a Cuba, per registrare un album insieme al musicista maliano Ali Farka Touré e ad altri suoi colleghi africani. Ma Touré e compagni a Cuba non ci arrivano: viene negato loro il visto. Ry Cooder a quel punto non sa che fare: ormai è a Cuba, e decide di registrare ugualmente un album, con musicisti locali: un album di musica “son“ e di salsa, che si chiama Buena Vista Social Club, ed è un successo immenso.

Ry Cooder chiama il suo amico Wenders. "Vieni a Cuba, c’è una storia da raccontare". Da qui nasce il film. Che oggi, a venticinque anni di distanza, torna in cento sale italiane, grazie a CG Entertainment e alla Cineteca di Bologna che ne ha curato il restauro, con il progetto Il cinema ritrovato, in sala dedicato alla distribuzione dei classici. Wenders, a suo tempo, raccontò con trasporto l’esperienza cubana: "Sono andato a L’Avana per girare il film, un posto dove non ero mai stato prima. Tutto ciò che conoscevo era la musica che questi vecchi avevano prodotto, una musica elettrizzante, inebriante, contagiosa. Una volta che ho visto e filmato L’Avana, ho capito cosa c’era di così speciale in questa musica: era uscita da questa città. Quella musica era il sangue di questa città. Il luogo era trasceso nel suono, per così dire, aveva trovato un’altra forma di esistenza in queste canzoni". E ancora, disse di avere presagito il successo del film: "Pensavo di girare un documentario, e invece eravamo lì pronti a essere testimoni di una favola che nessuno avrebbe potuto immaginare".

I musicisti che compaiono nel film, i componenti del Buena Vista Social Club, sono divenuti mitici. Primo fra tutti, Compay Segundo, il leader della band, scomparso nel 2003 a 97 anni (ne aveva 92 all’uscita del film di Wenders). "Lui era il fulcro, il perno. Conosceva tutte le canzoni e il modo di eseguirle", disse Ry Cooder, che è anche coproduttore del film. Ma anche Ibrahim Ferrer, classe 1927, scomparso nel 2005, o la “giovane“ – era appena sessantenne, all’epoca – Omara Portuondo, l’Edith Piaf di Cuba. O Eliades Ochoa, il chitarrista che poi vedremo duettare magnificamente anche con Enzo Avitabile in Music Life di Jonathan Demme. O ancora il pianista Ruben Gonzalez, che non suonava più da anni, ma riconosce subito il vecchio pianoforte, spolvera la ruggine, la polvere e l’artrite dalle dita e diventa "il miglior pianista che io abbia mai sentito", parola di Ry Cooder. Lui sì, invece, che era già mitico, l’autore della colonna sonora in slide guitar per Paris, Texas di Wenders.

Con lui e con Wenders riscopriamo il “son“, la salsa e il sabrosòn. La musica di quei vecchietti, talenti enormi dalla vita sfortunata. Molti di loro suonavano già negli anni ’40, e poi erano finiti nel dimenticatoio. Il Buena Vista Social Club era un locale riservato ai neri, sorto all’Avana negli anni ’30: ci suonavano i migliori musicisti cubani, e divenne un vero focolare della musica afro di Cuba. Paradossalmente, ebbe vita e splendore sotto la dittatura di Fulgencio Batista. Poi nel 1959, con la rivoluzione, piombò il silenzio.

La rivoluzione cubana cercò di dare un taglio netto con la "vecchia cultura", il Buena Vista fu considerato come un luogo di "depravazione morale", e il patrimonio musicale di un popolo intero fu disperso. Su ordine di Fidel Castro, nel 1963 venne chiuso.

Ma in qualche modo, più di trent’anni dopo, quella musica, quella cultura e quei meravigliosi vecchi tornarono a galla. E nacque quel film, intriso di confessioni personali, percorsi musicali e racconti di vita vissuta. Dove Wim Wenders, con la sua macchina da presa, cattura le atmosfere di un mondo sfinito, ma anche il talento cristallino e la gioia di vivere dei suoi straordinari musicisti. Un film che sa di rum e di sigaro, di dolore e di allegria.