Flashback. È il 2011, Obama guida gli Stati Uniti, Biden è il suo vice. Incontro con Putin, lo racconta Biden stesso in un’intervista al New Yorker. "Vladimir – dice il futuro presidente Usa – ti guardo negli occhi e non credo che tu abbia un’anima". Lo zar si gira, un sorriso gelido: "Allora ci capiamo". Dieci anni dopo nessun disgelo, anzi, Putin diventa un "killer", un "assassino". La definizione scappa a Biden in un’intervista televisiva. Apriti cielo.
Una gaffe o ha voluto alzare lo scontro?
"Biden non è nuovo a gaffe – ammette Stefano Silvestri, direttore editoriale di AffarInternazionali e consigliere scientifico dell’IAI –. Ogni tanto dice cose eccessive, ma indubbiamente la sua posizione verso la Russia è piuttosto dura. E Putin lo sa benissimo, tant’è vero che ha appoggiato Trump".
La Russia ha reagito richiamando l’ambasciatore.
"La parola killer è talmente forte che va al di là della figura pubblica di Biden. Però è uscita. Richiamando l’ambasciatore, Putin risponde a quello che ritiene un insulto".
Le conseguenze?
"Potranno esserci difficoltà a breve sui negoziati aperti, sul controllo degli armamenti e del nucleare. Ci sarà qualche ritardo. Ma poi la crisi rientrerà".
La durezza verso Putin è condivisa da tutta la nuova amministrazione?
"È condivisa dal segretario di Stato, dal segretario alla Difesa, dal consigliere per la sicurezza nazionale. Nessuno ha posizioni tenere verso la Russia".
Mosca è ancora la minaccia maggiore per gli Stati Uniti?
"La minaccia strategica più grande è la Cina. La Russia viene considerata come un grande avversario, soprattutto sul piano nucleare, ed è fastidiosa in Medio Oriente e nel Mediterraneo".
Ma sul piano politico?
"Questo è il vero problema. La Russia non viene giudicata come un interlocutore accettabile per ragioni di diritti umani e democrazia, per gli attacchi di Putin alle opposizioni".
Per i democratici sono così importanti i diritti umani? O è solo strategia?
"Per motivi strategici Mosca resta un grande rivale, ma la vera opposizione è di natura sistemica. È contro un regime che viene considerato una minaccia alla democrazia. La posizione di Biden e dei democratici è ideologica: la difesa della democrazia".
Vale solo con la Russia?
"Si applica anche alla Cina. Biden lo ha detto nei colloqui con Xi. Ma la differenza è che la Cina è sempre stata così, mentre la Russia è un Paese che ha fatto passi indietro rispetto alla democrazia negli ultimi 20 anni. È un’occasione persa rispetto alle aspettative. La Russia di Putin non è quella che si sperava nascesse con Gorbaciov e Eltsin".
Torna la narrazione dei buoni e cattivi?
"Torna l’opposizione al totalitarismo e la narrazione che da questa parte c’è la democrazia, ma senza i toni militaristici di Bush".
A parte l’ideologia, Biden che cosa contesta a Putin?
"C’è un lungo cahiers de doléances che comincia con il coinvolgimento nelle elezioni americane. Poi c’è l’aspetto dei negoziati, i rapporti con Ucraina, Georgia e in parte la Siria".
Biden non è un moderato?
"Ma segue la tradizione democratica sul piano ideologico. Il suo comportamento sarà però aperto al compromesso".
L’Europa è in mezzo a questa sfida: cosa rischia?
"La visita di Borrell a Mosca è stata un disastro, Putin ha voluto umiliare gli europei. La nuova tensione certamente non promette bene in termini di allentamento delle sanzioni e relazioni".
Biden cita il caso Navalny. Per l’America è così importante?
"Il fatto grave, sottolineato sia da Londra sia dagli Stati Uniti, è che Navalny sia stato colpito con un agente chimico proibito, che la Russia non dovrebbe avere. È una violazione di un trattato, indica la possibilità di violazioni più importanti".
Del tipo?
"Se possiedono quell’agente in teoria potrebbero usarlo. Potrebbero avvelenare la Polonia?".
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