Martedì 30 Aprile 2024

Quei cadaveri di Bucha ci chiamano per nome

Caro direttore, quanto dura il sentimento dell'orrore?

Un uomo cammina tra i cadaveri a Bucha

Un uomo cammina tra i cadaveri a Bucha

Caro Direttore,quanto dura il sentimento dell’orrore? Se ieri a poche ore dalla divulgazione, c’erano opinionisti di varia risma che si dividevano sulle foto dei civili morti in Ucraina, mi sono chiesto: quanto dura l’orrore? E qualcuno lo prova ancora davvero? O evapora? Forse succede perché, come diceva Marlon Brando (comandante Kurtz) in Apocalypse Now, l’orrore devi fartelo amico se no è il peggiore dei nemici? Non c’è scampo a questo, che si è ripetuto in tanti luoghi negli ultimi anni ? Non c’è scampo all’orrore e alla sua futilità?

Domande tormentose. Ma appunto, sarebbe terribile se anche questo orrore ci tormentasse un po’ e basta e diventasse solo materia da parte degli uni o degli altri per continuare le chiacchiere morte, le analisi vacue, la recita delle parti. O l’orrore diviene mio problema morale, oppure, come intuiva don Giussani dinanzi a immagini simili, non dura e non serve desolatamente a niente. L’orrore lo si prova, ma è come se non si innestasse in noi, se non divenisse benzina nel motore della nostra libertà. In quella libertà che sola, se messa in moto, è segno vero di vita, al contrario delle morte chiacchiere. Libertà che per sua natura non è avere a disposizione persone e beni materiali, ma innanzitutto è la energia che ti fa essere disponibile agli altri, alla vita, alla tessitura sociale. E dunque è lei, la libertà vera, il contrario e non il motivo della guerra, del sopruso, della faziosità. Se a quest’orrore lasciassimo aperta la strada fino alla nostra libertà, e non solo fino alle opinioni, se insomma di quello sdegno facessimo non un sentimento esteriore addirittura sbandierabile come arma, bensì un nostro problema morale, un problema della nostra libertà, qui ora, oggi e domani, allora, sentiremmo davvero tutte le lacrime e le spade d’orrore davanti a questi corpi e ogni volta che non siamo disponibii, cioè liberi, in nome di un interesse, una fazione. E invece quanta roba morta riversata su questi poveri morti!

Pasolini, molto celebrato quest’anno da coloro che lui non sopportava, individuava nella astrazione un male della nostra epoca. L’astrazione è la malattia che elimina il peso delle cose, le rende impalpabili. È la malattia della mente che presume di sistemare il mondo e le sue ruvidità con qualche slogan o con “buoni sentimenti”. Questa forza di astrazione ha potentemente lavorato in questi decenni. Ha sottratto sostanza a quel che chiamiamo ancora realtà, con una parola che però pare ridotta a conflitto delle interpretazioni. Ma quei poveri morti, Dio li benedica, sono lì. Reali. Accusano i loro assasini. Ma non basta. Ci chiamano per nome.