
Roberto Escobar, fratello del boss, in una visita nel museo di Medellin
Roma, 22 settembre 2018 - Uno dei ‘santuari’ dedicati a esaltare la vita di Pablo Escobar, il defunto capo del Cartello di Medellin della cocaina, è stato chiuso dalle autorità, "in modo temporaneo, fino a quando le irregolarità amministrative non saranno risolte». Si tratta del Museo di Pablo Escobar, gestito da parenti dell’ex zar della droga, in particolare dal fratello maggiore Roberto. I turisti che si avventurano fino a Medellin, un tempo città off limits, fanno quasi tutti tappa in questo Museo dove possono ripercorrere la vita del sanguinario boss colombiano attraverso foto, oggetti e veicoli, inclusa «la famosa e mitica motocicletta di James Bond". L’assessore alla Sicurezza cittadino ha detto che il Museo non aveva l’autorizzazione del Piano nazionale del turismo e gli ispettori hanno appurato irregolarità nei permessi di costruzione dell’edificio. "Per cui abbiamo disposto la sospensione dell’attività dedicata a promuovere la vita di uno dei banditi più tristi, che più danni hanno fatto alla città". Il Museo era una delle tappe dei narcotour organizzati da agenzie e rivolti ai visitatori stranieri per illustrare la figura del narcoboss morto il 2 dicembre 1993. Tali visite includono le rovine della Catedral, il carcere che si costruì in una resa volontaria, la sua tomba e l’edificio Monaco, dove viveva con la famiglia e dove fu al centro di un attentato con esplosivo.
di ALESSANDRO BELARDETTI
Serie tv, film, musei, documentari, accendini, magliette, palloncini, giocattoli, profumi e tatuaggi. La storia del narcotrafficante più potente che sia mai esistito, il sanguinario Pablo Escobar, da anni è diventato un tema ultra commerciale e attorno alla vita del famoso criminale è nato un business miliardario. Così il fratello del boss ucciso dai cecchini del Search Bloc, Roberto de Jesus Escobar Gaviria, unico superstite del cartello di Medellin, ha creato la ‘Escobar Inc’ e registrato il marchio Pablo Escobar. Roberto era il commercialista di Pablo e dopo la sua morte è stato arrestato per possesso illegale di armi, arricchimento illecito, traffico di droga, omicidio e sequestro ai fini di estorsione. Ha passato 14 anni in cella, perdendo un occhio e l’udito da un orecchio a causa di una lettera bomba. Ora accoglie centinaia di turisti al giorno nella sua casa di Medellin, facendo visitare i luoghi del crimine della sua banda, scattando selfie coi curiosi e raccontando dove nascondeva i soldi. Il giro nella Casa Museo guidati da don Roberto costa dai 30 ai 50 dollari, per un giro d’affari (sommerso) di migliaia di dollari al giorno.
Roberto, cos’è ‘Escobar Inc’?
«È una holding company fondata nel 1984 con Pablo, poi ristrutturata nel 2014 col mio amico e ceo Olof Gustafsson. Difendiamo i diritti della proprietà intellettuale del franchise Pablo Escobar».
Quanti turisti vengono ogni giorno per fare il tour?
«Di questo preferisco non parlare».
Qual è stata l’ultima cosa che Pablo le ha detto prima di morire?
«Lui non si rendeva conto che stava per morire. La sera prima ha cenato con nostra madre perché era il suo compleanno e lei gli ha fatto un regalo».
Negli anni della latitanza con Pablo ha rischiato la vita?
«Sì, spesso è capitato, ma sono sempre sopravvissuto. Pablo, invece, no: lui non amava scappare. Di solito dormiva mentre fuori da casa la polizia o i clan rivali sparavano. Quando gli dicevo che dovevamo andarcene in fretta, mi chiedeva solo di dormire un altro po’».
Prima di diventare il re dei narcotrafficanti, Pablo era già spietato?
«Non aveva paura di nulla. Amava trovare sempre qualcosa da fare, voleva risolvere i problemi».
Lei è stato veramente anche il leader del sanguinario cartello della droga di Medellin?
«Alcuni mi consideravano il leader. Altri consideravano Pablo il leader. Io non entro in questo gioco: il nostro era un business di famiglia dove molti nostri parenti erano parte dei meccanismi. Però, i principali attori eravamo io, Pablo e nostro cugino Gustavo Gaviria».
È pentito dei gravi crimini che ha commesso?
«Preferisco non rispondere».
Se tornasse indietro, rifarebbe soffrire tutte le persone colpite dal vostro Cartello?
«Dobbiamo pensare al futuro, non guardare il passato».
Quanti soldi avete guadagnato col traffico della cocaina?
«Io ero il suo contabile e in tutto abbiamo guadagnato oltre 200 miliardi di dollari».
Ogni giorno quanti soldi maneggiava?
«Nel migliore dei casi abbiamo guadagnato un miliardo di dollari. Invece, in un giorno di bassi profitti potevamo contare su 50 milioni di dollari di entrate».
Perché ha intrapreso una causa da un miliardo contro Netflix che ha prodotto la serie tv, Narcos, sulla vita di suo fratello?
«La serie tv fornisce un’immagine negativa di Pablo. Chieda a chiunque in Colombia e le diranno che Netflix ha mentito spudoratamente, guadagnando miliardi grazie al nostro nome. I legali di Escobar Inc conoscono bene questi motivi e hanno raccolto le prove. Vinceremo questa battaglia, anche se serviranno anni. Quello che non ci manca è il tempo».
Cosa c’è di sbagliato in Narcos?
«Ogni cosa».
Nella serie tv lei viene definito il contabile che dopo essere stato licenziato passa sotto copertura con la CIA.
«Questa versione è falsa. Io ero la sola persona di cui Pablo si fidava. Ho gestito i soldi e fatto altre missioni per lui: avevamo una squadra di dieci contabili e io li dirigevo».
Dopo il delitto del produttore di Netflix, Munoz, ucciso mentre cercava una location in Colombia, lei ha consigliato al colosso Usa di ingaggiare sicari per girare le ultime scene.
«Di questo non voglio parlare».