Mercoledì 24 Aprile 2024

"Ricucire con l’Egitto senza rinunciare alla verità su Regeni"

Arturo Varvelli, esperto di relazioni internazionali: cambiare approccio. "Non bisogna farsi vedere troppo morbidi nelle trattative All’Italia serve il gas egiziano, ma a sua volta il Cairo ha bisogno di noi"

Claudio e Paola Regeni

Claudio e Paola Regeni

Roma, 9 novembre 2022 - "Con l’Egitto serve una strategia globale, a più livelli. Che offra risposte agli interessi economici egiziani e ai nostri, ma anche che ponga con la necessaria forza la questione Regeni. Perché se siamo percepiti come deboli e accomodanti, visti come qualcuno pronto a vendere la propria dignità per il gas, saremo trattati come deboli". Così Arturo Varvelli, responsabile dell’ufficio italiano dell’European Council on Foreign Relations, già ricercatore Ispi.

Dall’incontro tra al Sisi e Meloni è venuta l’ennesima doccia fredda. Sorpreso?

"Per nulla. La risposta egiziana è la solita, la stessa degli ultimi anni, fornita a tutti gli ultimi governi. Dal Cairo non siamo riusciti a ottenere praticamente nulla. Sono state identificate delle chiare responsabilità da parte dell’intelligence egiziana ma dall’altra parte c’è un muro di gomma. E così la tentazione italiana è prenderne a malincuore atto e, passo dopo passo, andare verso una normalizzazione dei rapporti".

Siamo ostaggio dell’Egitto? L’approccio pragmatico è figlio della convinzione da parte italiana che la questione del gas e quella libica siano più importanti di Regeni?

"Indubbiamente questa è la percezione. E a torto. Il caso Regeni è una questione di interesse nazionale, perché se un tuo ricercatore viene ucciso da un apparato di sicurezza, come è stato delineato piuttosto chiaramente dalla nostra magistratura, allora questo è un caso di interesse nazionale, di rispettabilità per il Paese. L’Italia, va detto, molte cose le ha fatte, compresa l’interruzione delle relazioni. Ma credo non dovrebbe rinunciare proprio adesso: penso ad esempio che si potrebbe tentare di avviare un arbitrato internazionale nell’ambito della convenzione contro la tortura, che l’Egitto ha firmato".

Non ci sarebbero immediate ripercussioni su gas e Libia?

"Non è affatto detto. Pensiamo all’uscita infelice di un anno e mezzo fa di Draghi, che definì Erdogan un dittatore: non abbiamo avuto grosse conseguenze. E questo dimostra che c’è un margine di manovra politica che talvolta noi per scelta non ci prendiamo. L’Egitto ha bisogno di noi come noi abbiamo bisogno dell’Egitto. E’ un paese che ha problemi importanti. Ha il gas che a noi serve ma ha bisogno di chi ha il know how per estrarlo, e quindi ha bisogno di Eni, che è un attore qualificato e radicato in Egitto. Non penso che il Cairo sia in una condizione di tale forza da fare a meno dell’Eni e dal porci problemi in Libia".

Il gas come strumento per convincere gli egiziani che una collaborazione reciproca è nell’interesse di entrambi?

"Le relazioni che Eni ha con il governo egiziano sono straordinariamente positive. Gli egiziani devono continuare l’esplorazione e lo sviluppo dei giacimenti e noi possiamo aiutarli. Ci sono le condizioni perché entrambi i paesi possano beneficiare dello sviluppo del settore energetico. A quel punto forse il caso Regeni potrebbe essere meno centrale per al Sisi".

Ma quanto conta l’Egitto in Libia?

"Io sono molto pessimista sulla Libia. Ci siamo un po’ illusi che fossero gli attori esterni a dare le carte in Libia. E stato così per un lungo tratto, ma ora non più. C’è una frammentazione ormai cronica. L’instabilità un Libia si protrarrà per un periodo non breve. Pensare che l’Egitto possa avere un ruolo chiave in Libia è errato. Non è decisivo il Cairo e probabilmente non è decisivo nessuno. Quindi rinunciare a chiedere giustizia per il caso Regeni perché speriamo che l’Egitto ci possa aiutare a stabilizzare la Libia è illusorio. Non stabilizzeremmo la Libia e non avremmo giustizia per Regeni".