Martedì 15 Luglio 2025
CLAUDIO MARTELLI
Esteri

Isis, le potenze imbelli

L'Italia è vitalmente interessata a riportare un ordine in Libia, ma l’epicentro e la centrale di comando e di reclutamento dell’Isis non stanno in Libia e fermarlo in Libia non basterà se resta viva la testa del serpente in Siria e in Iraq

Roma, 15 ottobre 2015 - La politica internazionale è s-regolata dalla logica di potenza. Nazioni e imperi in tempi, luoghi e circostanze diverse si scambiano i ruoli spinti dall’ambizione o dalla paura, lottando per il predominio o per la sopravvivenza. Alle guerre internazionali spesso s’intrecciano quelle civili, cause o conseguenze d’ingerenze straniere. Con questa realtà storica si è misurato, invano, il desiderio di una pace duratura, ispirata all’irenismo cristiano, all’illuminismo kantiano, alle varie e spesso fallimentari esperienze di Società delle Nazioni e di Nazioni Unite. Non bisogna rinunciare alla pace, ma nemmeno si può credere che non combattere un nemico che ti dichiara guerra sia la scelta migliore. A meno che non si aneli alla pace dei vinti o a quella, perfetta, dei morti. Persino Papa Francesco in una non dimenticata esternazione affermò: "Se uno mi offende la madre gli do un pugno". Lo disse delle vignette contro Maometto, ma non dubito che lo pensi anche per i massacri di cristiani. Ora, quale che sia il vento che tira nell’opinione pubblica, il cosiddetto Stato Islamico, un esercito terrorista fanatico e spietato, si è installato a Sirte, a 100 miglia dalle nostre coste, in una Libia dilaniata da cui sono sbarcati in Italia, solo negli ultimi due anni, più di 300.000 tra profughi e clandestini.

 

L'Italia è vitalmente interessata a riportare un ordine in Libia, ma l’epicentro e la centrale di comando e di reclutamento dell’Isis non stanno in Libia e fermarlo in Libia non basterà se resta viva la testa del serpente in Siria e in Iraq. La coalizione di cui facciamo parte è guidata dagli Usa che bombardano l’Isis e armano i ribelli siriani anti Assad. La Russia, viceversa, con lo scopo dichiarato di difendere Assad, bombarda gli stessi ribelli come e più dell’Isis e Putin provoca dichiarando che gli americani "hanno il cervello in pappa" perché si rifiutano di concordare con lui la guerra al terrore. In effetti, Putin una strategia ce l’ha: installarsi in Medio Oriente a fianco del fronte sciita composto dall’Iran con Siria, Hezbollah – il khomeinista Partito di Dio – in Libano, Hamas in Palestina e ormai anche l’Iraq. Viceversa, Obama, fallita quella del disimpegno militare, una strategia non l’ha più: a meno di tornare in Iraq per ripristinarne l’integrità territoriale distrutta dall’Isis. Obama non si fida di Putin, ma la sua coalizione è divisa. Lo «storico trattato» con l’Iran sul nucleare ha riscosso applausi ma ha isolato Israele. La Turchia di Erdogan combatte e perseguita i curdi, l’unica forza anti Isis sul campo.

A parte Francia e Regno Unito nella stessa Europa molti che in pubblico sgridano Putin in realtà sperano che ci tolga le castagne dal fuoco. La potente Germania di Angela Merkel parla con Erdogan – ma solo dei profughi siriani – mentre il Medio Oriente è un incendio senza confini. Già l’Iran prova i suoi missili in grado di colpire a 2000 km di raggio e Hamas, lanciando una nuova intifada contro Israele, arma di coltello i bambini e ne fa degli assassini replicanti per costringere i soldati di Gerusalemme all’orrore. Con l’Arabia saudita in crisi finanziaria per il prezzo del petrolio, minacciata nelle sue province settentrionali e nello Yemen dagli sciiti, sta crollando l’intera rete delle alleanze filo occidentali e parallelamente crescono la presenza e l’influenza russa. La storia non cura ma rispetta i profeti disarmati, invece è spietata con le potenze imbelli.