
Donne in lutto durante il corteo funebre dei comandanti militari e degli scienziati iraniani uccisi dagli attacchi israeliani
di Lorenzo MantiglioniROMA"Morte a Israele e all’America", "morte a Netanyahu e a Trump", sono alcuni degli slogan urlati dal corteo funebre che ieri, partendo dall’Università di Teheran e arrivando ad Azari square, ha omaggiato oltre sessanta connazionali, uccisi durante la guerra con Tel Aviv. Il funerale di Stato è cominciato molto presto, con migliaia di persone vestite di nero che circondavano le bare, avvolte nella bandiera iraniana, principalmente di comandanti militari, scienziati nucleari e di quattro donne e quattro bambini.
Alla cerimonia c’erano anche i vertici della Repubblica islamica, tra cui il presidente Masoud Pezeshkian, il comandante delle Forze Quds delle Guardie rivoluzionarie, Esmail Qaani (il leader dei pasdaran che era stato dato per morto nell’attacco di Israele dello scorso 13 giugno), il capo di Stato maggiore delle forze armate, Mohammad Bagheri, e il comandante delle Forze aerospaziali, Amirali Hajizadeh. A spiccare però l’assenza della Guida suprema, che rimane nascosta in un bunker dopo le minacce di morte più o meno velate da parte di Benyamin Netanyahu e Donald Trump. A difendere il nome di Khamenei ha pensato il ministro degli Esteri Abbas Araghchi, rivolgendosi a Trump: "Se è sinceramente interessato a un accordo, dovrebbe mettere da parte il tono irrispettoso e inaccettabile nei confronti della Guida Suprema". L’inquilino della Casa Bianca si era fatto beffe dell’ayatollah affermando di averlo "salvato da una morte brutta e ignominiosa", pur "conoscendo perfettamente il posto in cui si nasconde". In questo clima tesissimo resta appesa a un filo la possibilità che riparta il negoziato tra la Repubblica Islamica e gli Stati Uniti.
In occasione dei funerali, il governo ha disposto la chiusura degli uffici pubblici, mentre il ministero della Salute ha dichiarato che almeno 627 civili sono stati uccisi durante i raid israeliani. Una giornata sicuramente solenne per la Repubblica islamica, cominciata però con la paura per alcune esplosioni avvertite – secondo l’Iran international – prima Eslamshahr e poi a Bidganeh, due aree nell’hinterland di Teheran dove si trova anche un sito missilistico. Sempre nelle stesse ore, hanno alzato la tensione le parole del ministro dell’Informazione yemenita, Moammar al-Eryani, che ha accusato l’Iran di trasferire parte della sua industria militare nelle aree controllate dagli Houthi, ovvero a Saada, Hajja e nella periferia di Sana’a.
"L’indifferenza internazionale – ha scritto il ministro su X – costerà caro alla regione e al mondo intero. Darà poi all’Iran l’opportunità di consolidare una pericolosa realtà, trasformando lo Yemen in un laboratorio per lo sviluppo dei suoi programmi proibiti. Una minaccia che rappresenta un pericolo per l’economia globale e i prezzi dell’energia".
Un tema, quello del programma nucleare, che continua a rincorrere il presidente americano Donald Trump, infuriato per le indiscrezioni secondo cui gli Stati Uniti avrebbero preparato un piano miliardario per gli impianti nucleari persiani. "Una cosa assurda – ha detto su Truth -. È solo un’altra bufala diffusa dalle ‘fake news’ per squalificarci. Questa gente è malata!". Sul tema ritorna anche il New York Times, secondo cui gli attacchi americani al sito di Isfahan hanno distrutto "attrezzature essenziali" per la produzione di armi nucleari. Un raid che, come ha confermato il capo di Stato maggiore americano, Dan Caine, e riportato in precedenza dalla Cnn, non ha previsto l’uso delle bombe anti-bunker dato che, in ragione della profondità dell’impianto, sarebbero potute risultare inefficaci. Nel pomeriggio, infine, il vicepresidente del Parlamento persiano, Hamid Reza Haji Babaei, ha annunciato che il direttore di Aiea, Rafael Grossi, non potrà più visitare gli impianti nucleari iraniani.