Afghanistan, fuoco amico sulla Casa Bianca. Lo spettro di una rimozione lampo

Dal ’Washington Post’ al 'New York Times’, raffica di critiche al presidente Joe Biden. È in carica da gennaio

Critiche al presidente Joe Biden

Critiche al presidente Joe Biden

Sì, lo sappiamo, c’è un cuore sotto le uniformi dei soldati americani. Ma il punto è un altro. "C’è un cervello in chi li comanda?" Se lo chiede Emma Ashford sul democraticissimo Washington Post. Impreparazione, burocrazia, patologici fallimenti dell’Intelligence e dell’apparato militare. Biden non viene citato per nome ma il Commander in Chief è lui.

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In un libro prossimo a uscire, dal titolo ’The Afghanistan Papers’, Craig Whitlock, altra firma storica, se la prende con tutta l’élite di Washington: come ha fatto a non prevedere la caduta di Kabul? Di questa élite Biden era ovviamente il riferimento elettorale. L’equidistante Wall Street Journal titola: ‘A Pitiful, Helpless Giant’, ’Un Pietoso, Impotente Gigante’. La frase è di Richard Nixon e si riferiva al Vietnam. Al confronto con l’Afghanistan – dice Trump – quello fu un ritiro dignitoso. Anche lui voleva andarsene. Ma non così. Il giornale intervista il generale David Petraeus, grande stratega. Scongiurò la disfatta nell’Iraq sotto Bush junior. Fece lo stesso in Afghanistan, prima che venisse richiamato da Obama per una questione di letto. Eppure a quel tempo, dieci anni fa, il movimento del me too non aveva cominciato a decimare i ranghi dei mariti infedeli e dei boss incontenibili.

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Petraeus fu certamente il più brillante generale da Douglas MacArthur in poi. E MacArthur fu colui che sconfisse i giapponesi e stava sconfiggendo anche nordcoreani e cinesi in Corea se Harry Truman non gli avesse ordinato di ritirarsi.

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Quanti errori – detto fra parentesi – nella politica estera americana! La Corea, il Vietnam, la Persia dello Scià, il Kosovo, l’Iraq di Bush junior, la Libia, la Siria, eccetera. Biden dunque non è un’eccezione. Ma nessuno dei suoi predecessori – nota Petraeus – aveva sofferto umiliazioni paragonabili in appena sette mesi dalla Inauguration. Non è solo questione di guerre vinte o perdute a metà, di alleati abbandonati, di occasioni sprecate. Ieri il tremebondo presidente ha inseguito altre giustificazioni. Ma poco prima del discorso fonti cinesi (in attesa di conferma) facevano sapere che Biden aveva chiesto l’aiuto di Xi Jingpin. Che tipo di aiuto? Xi è colui che, dopo avere avvelenato l’America e il mondo, ha fatto di tutto per favorire la caduta del governo filo-americano di Kabul, mira a fare dell’Afghanistan talebano un protettorato e una colonia, guarda alle sue risorse naturali . E ora valuta il momento più opportuno per ingoiare Taiwan come Hong Kong. I suoi aerei militari violano lo spazio aereo dell’isola. È l’isola in cui si rifugiarono le forze anticomuniste di Ciang Kaiscek una volta persa la guerra civile contro Mao. Dice Joseph Wu, ministro degli Esteri taiwanese: la Cina vuole emulare con noi quel che i talebani hanno fatto a Kabul. "Ma noi abbiamo i mezzi e la volontà di difenderci".

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Non una parola sullo storico impegno americano a garantire la sopravvivenza della seconda Cina. Omissione significativa. "Quanta credibilità ha oggi la parola americana?" Si chiede il New York Times, che diede l’endorsement a Biden. E così il Pentagono. Mark Milley, il suo capo militare, confessa di "non avere i mezzi" per fare a Kabul quel che fanno francesi e inglesi, vale a dire uscire dal perimetro dell’aeroporto e creare corridoi di fuga. E ancora: in caso di crisi per Taiwan questo presidente è disposto a rischiare una guerra nucleare?

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Ma ben più grave è l’interrogativo che incombe sulla riapertura del Congresso. Sino a quando Biden, 78 anni, potrà rimanere al suo posto? La sua intervista alla Abc e il taglio di mille parole "incomprensibili" sono la proiezione di sintomi inquietanti? Da lui dipende la sicurezza nazionale, senza contare il futuro della Nato. Se ne parlerà martedì al G7. Qualche giornale evoca l’emendamento 25 della Costituzione. Consente la rimozione di un presidente per incapacità se il vicepresidente e la maggioranza del gabinetto la richiedono. Non è mai stato evocato dal 1967 ad oggi. E in ogni caso un presidente può ricorrere al Congresso il quale dovrebbe approvarla a maggioranza di due terzi. Non c’era quella possibilità nel 1945 con il malatissimo Franklin Delano Roosevelt. E ci fu Yalta. Non c’era nel 1960 con il malato Dwight Eisenhower. E arrivò il Vietnam. Accadrà con Biden? Improbabile. L’unica ipotesi sono le dimissioni mentre il suo gradimento crolla.