Venerdì 26 Aprile 2024

Elezioni, puzzle del voto Rosatellum. "Effetto flipper e resti: è dura attribuire i seggi"

Lo scienziato della politica Feltrin e le assurdità del sistema elettorale. "La ripartizione dei posti in Parlamento è un meccanismo complesso. Ottenere la maggioranza dei due terzi è praticamente fantapolitica"

Paolo Feltrin

Paolo Feltrin

Roma, 25 settembre 2022 - Chi vince? Chi prende più voti. E no, sembra facile ma non lo è. In tutti i sistemi elettorali le cose sono ben più complicate, figuriamoci in uno lambiccato come il Rosatellum: c’è la quota maggioritaria che attribuisce 147 seggi alla Camera e 74 al Senato, poi c’è quella proporzionale (si eleggono così 245 deputati e 122 senatori), ma anche questa viene computata diversamente a seconda che si tratti dell’uno o dell’altro ramo del Parlamento. E per giunta ci sono gli eletti all’estero. Insomma, il conto dei voti non è affatto una faccenda elementare. Nessuno lo sa meglio di Paolo Feltrin, politologo, già docente di scienza della politica all’Università di Trieste.

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Ma insomma professore: che percentuale serve per essere certi di avere una maggioranza in entrambe le Camere e poter dire di aver vinto? "Direi più del 35%".

Come è possibile ottenere la maggioranza assoluta con una percentuale in fondo così limitata? "Per via dei collegi uninominali. Se in un sistema con quattro soggetti politici principali, tra coalizioni e liste uniche, qualcuno dispone di una percentuale al di sopra del 35 nel proporzionale, è presumibile che si aggiudichi la stragrande maggioranza dei seggi uninominali".

Sia alla Camera che al Senato? "Sì, anche se è diverso il modo di attribuzione dei seggi. Alla Camera è nazionale, quindi la percentuale dei voti corrisponde, approssimativamente, al numero dei seggi. Al Senato, invece, è su base regionale: il numero dei seggi si valuta regione per regione".

Dunque alla Camera chi prende il 20% dei voti prende il 20% dei seggi? "Grosso modo, sì. Anche se, avendo scelto di attribuire i 245 seggi proporzionali a livello nazionale per poi ’calare’ l’attribuzione nelle 28 circoscrizioni e successivamente nei 49 collegi plurinominali è complicato capire chi saranno i tre deputati eletti in Basilicata o dove saranno eletti i candidati di un partito che raggiunge il 7%".

E al Senato? "Dipende. Ci sono regioni che distribuiscono 20 seggi come la Lombardia, dunque per avere un senatore basta raggiungere il 5%, e ed altre che hanno un seggio come il Molise, dove vince chi prende più voti, quasi fosse un uninominale".

Ci fa capire come funziona la ripartizione dei resti? "Per distribuire i seggi, si prende il totale dei voti validi, a livello nazionale per la Camera e a livello regionale per il Senato, e si dividono per il numero dei seggi disponibili. Il risultato è la soglia che i partiti devono raggiungere per avere diritto ad un seggio. Prendiamo ad esempio le elezioni per il Senato in Veneto nel 2018: 1.070.649 furono i voti validi, 8 i seggi da assegnare, 150.000 il numero che viene fuori dalla divisione. La Lega nella distribuzione dei seggi ’pieni’ ottenne un resto di circa 51mila voti mentre M5s di 112mila: malgrado Salvini avesse preso più voti, il seggio andò ai grillini".

Cos’è l’effetto flipper? "Come abbiamo detto, alla Camera per l’assegnazione dei voti c’è un triplo passaggio: questo comporta il flipper. Cioè vinco in una regione e ottengo il seggio dall’altra. Per essere chiari: se io ho diritto a 3,7 seggi, è evidente che non posso prendere lo 0,7 di un candidato. Devo trovare un’altra regione in cui piazzare quel resto".

Non ha effetti distorsivi? "La cosa più importante è dare a un partito tutti i seggi di cui ha diritto. Se un collegio è pieno, l’avrà da un’altra parte".

Per i partiti più piccoli la vera sfida è superare la soglia di sbarramento. "Solo chi supera il 3% partecipa all’assegnazione dei seggi. Nelle coalizioni chi sta tra l’1 e il 3 non partecipa, e i voti vengono riassegnati in proporzione ai voti presi ai partiti alleati. Quanto a chi corre solo, i suoi voti saranno divisi proporzionalmente tra le liste che hanno superato il 3".

E chi va sotto l’un per cento? "Semplice: in quel caso i voti vanno completamente persi".

È possibile che una coalizione prenda la maggioranza dei 2/3 che permette di cambiare la Costituzione senza passare per un referendum? "È un’ipotesi di scuola, impossibile nella realtà. Bisognerebbe avere la maggioranza assoluta anche dei voti: per dire, al Senato riesco ad avere i due terzi dei seggi se prendo più del 53-54% dei voti e il 95% dei collegi uninominali. Fantapolitica".