Giovedì 2 Maggio 2024

La destra italiana e l'Europa: dal Msi a Fdi, 75 anni di amore-odio

Per gli eredi di Salò era la “culla della civiltà” in un mondo diviso tra blocco comunista e Occidente capitalistico. Oggi la linea sovranista pone una serie di questioni di non facile risoluzione

Giorgio Almirante, Gianfranco Fini e Giorgia Meloni

Giorgio Almirante, Gianfranco Fini e Giorgia Meloni

Europa sì, Europa no, Europa forse? Quanti dilemmi per la destra italiana dal Msi a Fratelli d'Italia. Vediamoli.

Roma, primi anni Settanta, quartiere San Giovanni. Su un muro vicino alla Basilica appare una scritta, a vernice bianca: EUROPA NAZIONE RIVOLUZIONE. Non è la prima. Ce ne sono varie in tutte le città italiane. Autori, i militanti del Movimento sociale italiano. Meglio ancora: del Fronte della Gioventù, l'organizzazione giovanile missina. La scritta è una sorta di manifesto programmatico sin dalla nascita del partito neofascista nel 1946: vale a dire l'Europa come “culla della civiltà” a fronte di un mondo diviso tra il blocco del comunismo reale e l'Occidente capitalistico. Come sottolineato da molti studiosi (da Giuseppe Parlato a Gregorio Sorgonà) la storia della destra missina si intreccia profondamente con le grandi vicende del Dopoguerra. E i rapporti con l'Europa e l'idea d'Europa degli eredi di Salò ne è componente essenziale.

Ma andiamo con ordine. Con un'avvertenza: nell'analisi del rapporto tra Msi e Europa, non si potrà fare a meno di accennare all'atlantismo prima rifiutato poi accettato come argine al “pericolo rosso”. Nel 1946, siamo a dicembre, nasce il Movimento sociale italiano. Erede del fascismo repubblichino, pone subito l'Europa come suo valore fondante (sia esso più o meno strumentale è altro discorso). Fondante sia in senso politico (distanza da Usa e Urss), sia in senso “culturale”(Europa come culla della civiltà, Europa come collante delle Nazioni). Al contrario, nel 1949, vi è il netto rifiuto della adesione al Patto Atlantico: troppo fresche sono ancora le ferite causate dalla guerra, troppo freschi ancora gli echi dei combattimenti con gli Alleati. Campioni dell'europeismo missino, due figure storiche del neofascismo italiano: Filippo Anfuso e Pino Romualdi. Anfuso, tra l'altro, sarà colui che porterà il Msi su posizioni decisamente filo atlantiche. Precisamente al congresso del partito all'Aquila nel 1952: “Fate sì – scandì a proposito della divisione fortissima tra atlantisti e non – che si chiuda al più presto questa stupida rissa in un partito che, per guardare al tipo di Europa che noi i vinti, intendiamo contribuire a costruire, deve avere l'intelligenza politica di superare sia l'atlantismo quanto l'antiatlantismo. La nostra strada è l'Europa”.

La “svolta” è accettata, con risultati alterni. Sia per quanto riguarda le posizioni interne alla formazione della fiamma (tra i militanti e nelle sezioni l'antiamericanismo sarà sempre un'ingombrante presenza) sia per questioni oggettive. A esempio, nel 1952, il Msi fu contrario senza se e senza ma all'adesione al progetto poi fallito del Ced, la Comunità europea di Difesa, una collaborazione militare tra gli Stati europei. Tra i motivi del rifiuto la difesa delle autonomie nazionali e, soprattutto, l'ancora mancata risoluzione della questione di Trieste. Al contrario, piena fu l'adesione dei missini ai famosi Trattati di Roma del 1957 che, di fatto, sancirono la nascita dell'Europa. Così come nel 1978, quando il partito diede parere favorevole all'adesione del nostro Paese allo Sme.

Più complessa la vicenda del Trattato di Maastricht, il Tue. Al Senato, i missini abbandonarono l'Aula perché la loro posizione non fosse messa sullo stesso piano di quella dei neocomunisti di Rifondazione. Alla Camera, il voto ci fu e fu contrario: tante le ragioni, ma dobbiamo considerare l'anno. Il 1992. Piena bufera giudiziaria in corso (tangentopoli) e diffidenza verso la soluzione federalista. “L'Europa nata a Maastricht – si legge negli atti del Senato, seduta del 17 settembre 1992, intervento di Francesco Pontone – non è quella per cui il Msi-Dn da anni lotta in tutte le sedi, ivi comprese le piazze d'Italia (…) il governo in carica ha dimostrato di essere incapace di tutelare gli interessi dell'Italia”. E la Cisnal, sindacato di area, denunciò un clima “per cui ogni critica, sia pure costruttiva e seria, al Trattato viene interpretata come forma di antieuropeismo”.

Poco prima della nascita di Alleanza Nazionale, siamo nel 1994, l'allora leader missino Gianfranco Fini, in occasione della visita di Bill Clinton in Europa per i cinquant'anni dello sbarco in Normandia, sottolineava: “Non credo di fare apologia di fascismo se avanzo il dubbio che con lo sbarco degli americani l'Europa ha perso una parte della sua identità culturale”. Un'ultima concessione, poi rimasta sempre minoritaria a destra, alle pulsioni anti-Usa della destra italiana. Da Fiuggi in poi, sarà tutto diverso. La nascita nel 2012 di Fratelli d'Italia che raccoglie in parte l'eredità di Msi e An, segna un'ulteriore svolta ed è fonte di accanite polemiche. La linea 'sovranista' di Giorgia Meloni (che va al congresso dell'estrema destra spagnola di Vox e che non disdegna rapporti con l'ungherese Orban per fare due rapidi esempi) pone una serie di questioni di non facile risoluzione. Specie dopo il trionfo di FdI del 25 settembre scorso. In molti, specie a proposito delle posizioni sui blocchi navali per evitare gli sbarchi, si chiedono se la “fortezza Europa” sarà uno dei fari della premier in pectore. Ma si sa, in politica, mai dire mai...