Mercoledì 1 Maggio 2024

Con i mercati non si tratta

I vicepremier Di Maio e Salvini sono trasparenti nelle intenzioni e nelle aspettative: tra sei mesi – prevedono – quest’Europa non ci sarà più. Dove per Europa intendono quel sistema, burocratico e politico, che non sta vedendo di buon occhio l’aggiornamento del Documento di Economia e Finanza, il rapporto tra deficit e Pil fissato al 2,4% per il 2019, in barba agli impegni presi dall’Italia e confermati solo fino a qualche mese fa dallo stesso governo.  Sondaggi alla mano è possibile che dalle urne del 2019 uscirà un’Europa più sovranista e, dunque, più disponibile verso il governo giallo verde. Ma il problema oggi non è l’Europa. Sono i mercati. La stessa lettera dalla Commissione Ue, firmata da Dombrovskis e Moscovici, boccia la manovra in fasce, ma tiene aperto il dialogo e ciò vale più di tante voci dai sen fuggite: voci italiane, ma anche molte parole in libertà degli stessi rappresentanti delle istituzioni europee. I mercati, però, sono un’altra cosa. 

Il vero esame che misurerà la tenuta del banco è a fine mese quando le due principali agenzie di rating, Moody’s e Standard & Poor’s, decideranno il giudizio sull’Italia e le previsioni per il futuro. Nell’Ue nessuno ha interesse a perdere per strada l’Italia, economia troppo grande per essere salvata ma anche troppo grande per lasciarla fallire. La violazione dei paletti potrebbe costare al massimo una procedura d’infrazione. Poco più di una tirata d’orecchi. Ben altro peso avrebbero turbolenze di mercato. Frutto di scelte di gestori chiamati a rispondere a chi affida loro capitali e risparmi. La differenza, quindi, non è questione di decimali, ma di credibilità. Non è lo 0,4% in più di deficit/Pil, ma la direzione di un Paese che vive il declino da più tempo che dall’esordio del governo giallo-verde. "Sappiamo tutti – ricordava Salvatore Rossi, direttore generale della Banca d’Italia, per la cinquantesima Giornata del credito – che da oltre vent’anni lo sviluppo economico in Italia si è inceppato". I dati: tra il 1997 e il 2007 il Pil è cresciuto meno di un punto l’anno in media, contro i 3,5 punti del resto dell’area dell’euro. Durante la recessione l’Italia ha patito più di altri paesi avanzati. Nel secondo trimestre 2018, il Pil è stato del 5 per cento inferiore al livello massimo raggiunto nel 2007; nel resto dell’area è salito del 6 per cento. Molte delle misure indicate dal governo Conte non vanno nella direzione di crescita e sviluppo, ma non è che prima di lui sia andata meglio. Credere che cambiata l’Europa sia tutta discesa, è ingenuità.