Venerdì 26 Aprile 2024

Smart working, dal boom alla fase post-Coronavirus

Ricerca dell'Osservatorio 4.Manager sulla diffussione del “lavoro agile“ e sul ruolo dei manager nella gestione dello strumento nel dopo-emergenza

Fulvio D'Alvia

Fulvio D'Alvia

Roma, 23 aprile 2020 – Le misure di contenimento dell’emergenza sanitaria in corso hanno imposto fin da subito una rilevantissima accelerazione al ricorso allo smart working, virtualmente in tutti i settori lavorativi nei quali è stato possibile, a cominciare dalla Pubblica amministrazione.

A offrire una prima quantificazione del processo di ricorso al lavoro agile o in remoto è l’Osservatorio 4.Manager che ha analizzato l’interesse degli utenti Google (fonte Google Trends) sul tema nei mesi tra il 9 dicembre 2019 e la primavera 2020, attraverso chiavi di ricerca quali Smart Working, lavoro da casa, lavoro agile, telelavoro. Da inizi marzo si è avuto un innalzamento esponenziale delle ricerche, a fronte di un andamento sostanzialmente piatto nei mesi precedenti. Le ricerche per regioni hanno mostrato picchi collegabili alla diffusione dell’emergenza: nel Nord Italia, e in particolare in Lombardia, e nel Lazio.

Il dato indica quanto, con l’emergenza, lo smart working sia diventato in brevissimo tempo da fenomeno di nicchia a fenomeno di massa (ancorché legato alla situazione contingente). Risulta infatti evidente quanto l’interesse di ricerca degli utenti sia stato determinato da questo momento di crisi sanitaria.

La diffusione dello smart working prima dell’emergenza Coronavirus

La ricerca prende avvio da un confronto internazionale tra i sistemi di alcuni Paesi europei, sia per quanto riguarda le modalità di regolamentazione – flexibleworking (Regno Unito e Olanda); telelavoro flessibile (Francia), agile working (Germania e Belgio) - sia, soprattutto, esaminandone i livelli di diffusione che secondo una rilevazione Eurostat al 2018 vedevano l’Italia al penultimo posto tra i primi 10 Paesi per Pil.

Risulta significativo che nel decennio 2008 – 2018 l’Italia non ha registrato incrementi nel ricorso al lavoro agile, laddove in Europa la crescita è stata più evidente.

Tuttavia, un’importante crescita è stata registrata in Italia nel corso del 2019 sul fronte delle imprese (non vengono presi in considerazione i dipendenti pubblici). Secondo l’indagine Confindustria sul lavoro 2019, nel corso dell’anno, l’8,9% delle aziende associate ha introdotto forme di lavoro agile e un ulteriore 10% ha considerato tale modalità una soluzione organizzativa da approfondire.

I vantaggi dello smart working

Eppure, una maggiore diffusione dello smart working può determinare vantaggi diffusi, per il sistema delle imprese, per l’ambiente e per i lavoratori:

•        attrazione di talenti (secondo l’Osservatorio smart working del Politecnico di Milano il 76% dei lavoratori “agili” si ritiene soddisfatto del proprio lavoro rispetto al 55% di coloro che lavorano in modalità tradizionale;

•        riduzione dei costi fissi, in particolare legati al dimensionamento e al costo degli uffici;

•        riduzione del traffico, con benefici sulla produttività delle catene logistiche;

•        riduzione dell’inquinamento atmosferico.

In particolare, secondo le stime correnti, 1 milione di lavoratori in più in modalità smart working al 50% del tempo (obiettivo del tutto raggiungibile, anche solo nel settore privato) permetterebbe di ridurre le emissioni di CO2 in atmosfera, nell’ordine delle diverse centinaia di migliaia di tonnellate all’anno.

Il ruolo centrale dei manager per lo smart working nel dopo-Coronavirus

“Quando l’emergenza sanitaria sarà superata, potremmo trovarci di fronte a uno scenario completamente nuovo - dichiara Fulvio D’Alvia, Direttore Generale di 4.Manager - sia in virtù dell’esperienza avviata nelle settimane del contenimento del Covid-19 da decine di migliaia di imprese e milioni di lavoratori e sia, soprattutto, sotto il profilo culturale”.

Il nuovo scenario che le imprese dovranno gestire sarà portatore di grandi opportunità ma imporrà un forte innesto di manager preparati a gestire il cambiamento.

“Pensiamo alle Pmi e alle filiere collegate - prosegue D’Alvia- dove è necessaria una maggiore cultura manageriale. La gestione di domanda e offerta di smart working diventerà per le Pmi un fattore di crescita sempre più importante per la produttività e per la competitività. Occorreranno manager preparati, tanto sotto il profilo delle competenze professionali e digitali, si pensi solo al tema della cyber security legata al lavoro da remoto, quanto sotto il profillo delle soft skills necessarie alla gestione delle relazioni dei cambiamenti organizzativi. Per rendere strutturale lo smart working bisogna prima mettere al centro le persone e poi pensare alla tecnologia. L’importanza del fattore manageriale – conclude D’Alvia – è dimostrata dall’emergenza in corso: le imprese che si sono dotate di un innovation manager stanno reagendo in modo molto più efficace sotto il profilo della riorganizzazione dei processi produttivi rispetto alle altre”.

 

 

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