Mercoledì 24 Aprile 2024

Saudi Aramco conta trilioni È partita l’Ipo della sfida

Il colosso petrolifero del regno saudita bussa alla Borsa locale

L’Ipo, che forse non sarà del secolo come si preannunciava, è partita ieri, con l’offerta di Saudi Aramco, la compagnia petrolifera della dinastia saudita, che punta a una valutazione di almeno 1.700 miliardi di dollari. L’offerta pubblica della compagnia più redditizia del mondo, arrivata dopo una serie di rinvii, è la pietra miliare dell’ambizioso piano Saudi Vision 2030 del principe ereditario Mohammed bin Salman per riformare l’economia del regno, oggi completamente dipendente dal petrolio. L’Ipo segna la principale svolta dell’economia saudita dagli anni ’70. Aramco, oggi capace di incidere sul 10% della produzione petrolifera globale, è la spina dorsale della stabilità socio-economica dell’Arabia Saudita.

Fino ad ora, la più grande Ipo del mondo è stata quella della società di e-commerce cinese Alibaba nel 2014, che ha raccolto 25 miliardi di dollari. Riad punta a superarla con la vendita dell’1,5% della compagnia, quota decisamente ridimensionata rispetto ai rumors iniziali che accreditavano un 3% destinato al mercato. Il colosso dell’energia statale inizia a prendere offerte dagli investitori in una fascia di prezzo di 30-32 riyal sauditi per azione (8-8,5 dollari), forchetta che porta a un valore dell’Ipo compreso tra 24 e 25,6 miliardi di dollari. Quindi, il sorpasso di Alibaba non è ancora detto. Il principe vorrebbe usare questi fondi per diversificare l’economia del Paese, investendo anche nelle fonti rinnovabili per ridurre la dipendenza dal petrolio, da cui il regno nel 2018 ha ricavato 111 miliardi di dollari di entrate nette, praticamente l’unica fonte di reddito del Paese.

L’ipotesi di un debutto era emersa per la prima volta nel 2016, salvo una serie di rinvii a causa dei dubbi degli investitori sulla maxi-valutazione di 2mila miliardi di dollari inizialmente pretesa da bin Salman. Gli ambiziosi target del principe non erano e non sono gli unici ostacoli sulla via della Borsa. Saudi Aramco dovrà anche fronteggiare il rafforzamento delle azioni dei governi del mondo contro l’emergenza climatica e i rischi di una minore redditività del suo core business. L’anno scorso, dopo l’acquisizione da parte di Saudi Arampo di una partecipazione del 70% in Sabic, la più grande compagnia petrolchimica del regno, l’idea della quotazione si era rimessa in moto e quest’anno è arrivata a maturità, nonostante gli attacchi terroristici del 14 settembre contro gli impianti di Abqaiq e Khurais.

Il progetto di arrivare fino al 5%  di flottante, però è tramontato. La quotazione avverrà esclusivamente sul mercato locale Tadawul e negli ultimi documenti – che Riad ha significativamente diffuso solo in lingua araba – si specifica che le informazioni non sono destinate ai mercati di Londra, New York e Tokyo. Il prezzo del petrolio è un’altra delle tante incognite e la recentissima trasparenza sui bilanci di Saudi Aramco ha già dimostrato come la compagnia sia molto vulnerabile all’andamento del mercato. Gli ultimi risultati sembrano confermarlo: nei primi nove mesi di quest’anno l’utile netto della compagnia è stato di 68 miliardi, in calo del 17,9% rispetto allo stesso periodo del 2018. Il fatturato è sceso a 233 miliardi (-6,9%).

Dal prospetto, uscito la settimana scorsa, si scopre che lo 0,5% delle azioni di Aramco saranno riservate al pubblico retail in Arabia Saudita, dov’è cominciata un’intensa campagna pubblicitaria per promuovere l’Ipo e le banche offrono prestiti ai risparmiatori per consentire l’adesione. Le ricche famiglie mercantili, molte delle quali sono rimaste coinvolte nella repressione della corruzione avviata dal principe Mohammed nel 2017, sono state costrette a investire. Il periodo di sottoscrizione per il pubblico si chiuderà il 28 novembre e l’obiettivo è sbarcare in Borsa l’11 dicembre.

Gli investitori stranieri restano scettici, anche a causa dei problemi di governance, delle interferenze statali nella strategia aziendale e dell’incapacità del regno di proteggere le proprie strutture energetiche, ma Riad ha reagito contattando fondi sovrani in Medio Oriente e in Cina. Pechino starebbe valutando di investire fino a 10 miliardi di dollari,  una disponibilità che metterebbe al sicuro da un possibile flop la quotazione in Borsa del gigante del petrolio saudita. Bloomberg riferisce di trattative con diverse entità statali cinesi, tra cui il Silk Road Fund, il fondo sovrano China Investment Corp e Sinopec, società petrolchimica quotata a Shanghai, Hong Kong e New York, già partner dei sauditi in impianti di raffinazione. Bussare alla porta di Pechino è un passo inevitabile.

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