È UNO DEGLI ULTIMI laboratori di tessitura a mano d’Italia, dove è ancora possibile ammirare in funzione antichi telai del Settecento e dell’Ottocento che conservano la memoria e tramandano la storia della gloriosa tradizione tessile della Perugia medievale e rinascimentale. Il Museo-laboratorio “Giuditta Brozzetti“ è un’eccellenza umbra nel mondo: un atelier artigianale che ha sede nella meravigliosa chiesa sconsacrata di San Francesco delle Donne, nel quartiere Elce, dove vengono realizzati a mano preziosi tessuti artistici per l’arredamento che riproducono fedelmente gli antichi motivi decorativi. A raccontarci la storia è la direttrice Marta Cucchia (nella foto in basso), quarta generazione di un’impresa tutta la femminile che si tramanda da oltre un secolo.
Marta, come è nato l’atelier?
"La storia comincia con la mia bisnonna, Giuditta Brozzetti, figura di spicco dell’imprenditoria femminile nella Perugia di inizio Novecento: durante la Prima Guerra Mondiale era direttrice delle scuole e girando nelle campagne scoprì un’antichissima tecnica di lavorazione al telaio che si tramandava di casa in casa. Così nel 1921 aprì il laboratorio-scuola per preservare la tradizione tessile umbra ed emancipare le donne del contado. Il successo fu straordinario, si esportavano a Washington anche 15mila pezzi per volta".
La storia è proseguita di madre in figlia...
"Il passaggio non è mai stato drastico ma ogni volta l’azienda si è adattata alla personalità della direttrice del momento. Così negli anni ’50 è subentrata mia nonna Eleonora: adorava la moda ed ebbe l’idea di usare queste stoffe magnifiche per creare abiti. Con lei è nata una linea di abbigliamento premiata alle sfilate di Milano. Poi è stata la volta di mia mamma Clara: appassionata di storia e iconografia, si è dedicato allo studio e alla riproduzione delle ’Tovaglie Perugine’ che nel Medioevo erano diffuse in tutta Europa, raffigurate anche nelle opere dei più grandi artisti dell’epoca".
E lei come è arrivata alla guida dell’azienda?
"Non volevo seguire le orme di famiglia, il mio sogno era diventare interior designer tanto che mi sono diplomata allo Ied di Milano. Ogni estate tornavo però a Perugia, nell’azienda e quando mia mamma mi ha detto che stava per chiudere e che le mie sorelle avevano scelto altre strade ho deciso di provarci. Mi sono messa a lavorare al telaio, ho imparato a tessere per far funzionare i macchinari e nel 1995 ho creato la cooperativa con le ex dipendenti della mamma".
E cosa ha portato di suo?
"Sono un’artigiana, non un’imprenditrice, ho portato le mie competenze stilistiche e gli studi in architettura d’interni mi hanno dato un punto di vista e una chiave di lettura diversi. Ogni tessuto per me è un progetto, ho creato nuove soluzioni interpretando in chiave moderna l’antica tradizione tessile umbra".
Con lei l’azienda ha trovato una nuova sede...
"Ho attuato il progetto dei miei genitori e ho trasferito il Laboratorio nella Chiesa di San Francesco delle Donne: una delle chiese francescane più antiche d’Italia. Era il luogo dove Francesco dormiva e pregava quando veniva a Perugia, la prima pietra risale al 1212. È una location strepitosa, che ci ha dato una visibilità folle e ci ha permesso di aumentare la parte turistica. Ed è uno dei motivi principali per cui siamo sopravvissuti".
Cosa produce e come è organizzato il museo-laboratorio Giuditta Brozzetti?
"Mi piace progettare linee personalizzate per i clienti, facciamo di tutto, senza pensare troppo ai fini commerciali: tovaglie, tende, arazzi, centrotavola ma anche segnalibri, sciarpe e stole, covers, cuscini. borse, paralumi. Faccio presente che per fare un runner ci vogliono tre giorni ma solo la messa in opera di un telaio di medie dimensioni, cioè tutto il montaggio dei fili dell’ordito, richiede 16 giorni. In media tessiamo a mano 25 centimetri al giorno, poi rifiniamo e confezioniamo tutto. Abbiamo 7 telai jacquard ottocenteschi e 3 telai a pedali di cui il più antico in funzione è del 700 ma la tecnica risale alla fine del 12° secolo ed è rimasta immutata".
Quale è il vostro mercato?
"Siamo diventati un’attrazione turistica. L’atelier di tessitura a mano è in produzione, non siamo cioè un museo anche se siamo inseriti nel sistema museale, i telai non sono fermi, noi lavoriamo, produciamo e vendiamo. Ma l’atelier è una bolla temporale, non posso competere con il mercato di oggi e non posso entrare nel mercato del lusso perché non sono un brand".
Il vostro cliente tipo?
"Al 98% il nostro è un pubblico internazionale. Il cliente è una persona erudita, con sensibilità particolare, è l’appassionato che mi cerca e mi trova anche da New York. Oppure può essere il turista che mi trova curiosando per la città, sono inserita negli itinerari, rimane sorpreso, sconvolto. Infine c’è un terzo tipo di clientela molto diverso, i giver o supporter: gente che fa acquista da noi dopo la visita non solo per avere un oggetto unico ma anche e soprattutto per dare un aiuto a mantenere in attività questa struttura. Dal 2015 la Treadright Foundation sostiene l’Atelier con donazioni e portando pubblico".
Quanti siete nella cooperativa?
"Quattro. Io, Aurelie, Sophie e quest’anno è entrata Lissette, figlia del mio tessitore storico, socio come me per 22 anni, Josè. Per sei mesi abbiamo anche una stagista pagata dalla Fondazione Cologni dei mestieri d’arte, Alessia Galassi, bravissima. Spero di avere forze ed energie per prenderla a fine stage. Questo non è un lavoro comune, non ci sono orari, servono grandi sacrifici e non è facile trovare gente così appassionata: tutti laureati che hanno fatto una scelta di vita".