La corsa è cominciata. Tesla (nella foto il fondatore Elon Musk) sta costruendo a Est di Berlino la sua prima gigafactory di batterie al litio nel Vecchio Continente, tassello chiave per lo sviluppo dell’auto elettrica europea. È in competizione con la cinese Catl (Contemporary Amperex Technology), leader cinese delle batterie insieme a Panasonic sul mercato globale, che ha già avviato in ottobre un cantiere a Erfurt, in Turingia, con l’obiettivo di aprire la sua prima fabbrica fuori dalla Cina nel 2022.
Sono investimenti miliardari, che lievitano di mese in mese, in relazione alle esigenze del mercato, previsto in rapidissima crescita. Ma dov’è l’industria europea delle batterie? L’unico marchio europeo che partecipa alla corsa per ora è quello della svedese Northvolt, fondata dai due ex manager Tesla, Peter Carlsson e Paolo Cerruti, che stanno già costruendo in Svezia la prima gigafactory europea e ora ne realizzeranno un’altra a Salzgitter, in Germania, grazie a un’importante joint venture con Volkswagen.
Finora, Northvolt aveva in programma tre fabbriche in tutto, per un totale di 64 gigawattora di capacità produttiva, ma ora punta ad andare oltre, per coprire un quarto del fabbisogno europeo nel 2030.
«Non c’è dubbio che le nostre ambizioni vanno oltre i 64 gigawattora – spiega il Ceo Carlsson –. Nei prossimi dieci anni vedremo come si sviluppa il panorama per l’industria, ma pensiamo che 150 gigawattora, o una quota di mercato del 25%, non siano irrealistici. Northvolt ha ricevuto 350 milioni di euro dalla Bei per avviare la costruzione della sua prima fabbrica a Skellefteá, che avrà una capacità iniziale di 16 gigawattora all’anno, con l’obiettivo di raddoppiarla a 32. Stessa tabella di marcia per l’impianto in Germania, su cui Volkswagen ha già investito 900 milioni di euro. In cambio, ha ricevuto il 20% del produttore di batterie svedese. Il cantiere si aprirà a fine 2020 e l’avvio della produzione è previsto per il 2023. Per ora, però, le case automobilistiche europee sono dipendenti dai fornitori asiatici.
L’industria ha resistito a lungo a buttarsi in questo mercato, anche se la batteria promette di diventare il pezzo forte dell’auto del futuro. Si è dovuta muovere la politica per sbloccare la situazione, con il lancio della European Battery Alliance e del progetto di un’Airbus delle batterie, lanciato da Berlino e Parigi. Il ministro dell’Economia tedesco Peter Altmaier ha promesso un miliardo di euro per finanziare nuove gigafactory e il francese Bruno Le Maire 700 milioni. Ora altri Paesi si stanno aggregando. Nel frattempo, Berlino si è mossa anche sul piano degli approvvigionamenti, entrando nel “grande gioco” del litio andino. Dopo un intenso lavoro ai fianchi del presidente boliviano Evo Morales, la Germania ha firmato l’anno scorso un accordo con La Paz per lo sfruttamento del Salar de Uyuni, il più grande giacimento di litio al mondo, sottraendolo alla Cina.
La Commissione europea, da parte sua, ha lanciato la European Battery Alliance, con cui favorire la realizzazione di almeno 20 gigafactory entro il 2025. Sappiamo molto bene che il futuro è elettrico e che dobbiamo recuperare rapidamente terreno sulle batterie» ha dichiarato recentemente Maros Sefcovic, commissario per l’Energia e vicepresidente della Commissione. Per accelerare il passo, i singoli Paesi dell’Ue sono stati autorizzati a finanziare il 100% delle ricerche. Resta il fatto che l’Europa, con appena il 3% del mercato globale, è in fortissimo ritardo su questo fronte.
Recuperare sarà difficile. In base alle previsioni della società di consulenza tedesca P3, specializzata nell’automotive, le vendite di auto elettriche saranno decuplicate tra il 2020 e il 2025, fino a 30 milioni di veicoli l’anno, e la domanda globale di batterie crescerà a un ritmo analogo, superando i 1.200 GWh entro il 2025. Ad oggi, oltre l’80 per cento della produzione è in Asia e P3 prevede che nel 2025 il settore resterà dominato da due società asiatiche: la cinese Catl e la coreana Lg Chem, che si spartiranno un quarto del mercato globale. Il resto andrà ad altre asiatiche, principalmente basate in Cina, Corea del Sud e Giappone. A meno che l’Europa non si muova.