
Varietà di caffè esposte in Vietnam, secondo esportatore al mondo (Ansa)
Sebbene i rincari, susseguitisi in particolare negli ultimi tre anni, l’abbiano resa un rituale sempre più costoso, la pausa caffè al bar resta un punto fermo per gli italiani. È quanto emerge da un'indagine condotta dall’istituto di ricerca Eumetra per Lavazza e presentata oggi a Roma: almeno 5 italiani su 10 fanno colazione fuori casa almeno una volta al mese; il 20% più volte a settimana. Dati confermati anche nel caso di Roma: il 52% degli abitanti della capitale si concede una colazione fuori casa almeno una volta al mese.
I risultati dell’indagine
Lo studio mette in evidenza, innanzitutto, quanto sia radicata, nella cultura italiana, l'abitudine di iniziare la giornata in luoghi che fanno sentire a proprio agio, diventando, il più delle volte, spazi di aggregazione sociale e condivisione. Tra le varie opzioni disponibili, il bar si conferma la più gettonata: il 59% degli italiani sceglie infatti il bar per la colazione fuori casa, seguito da pasticcerie e caffetterie, che invece ottengono un più contenuto 24%. A Roma, peraltro, la percentuale degli affezionati al bar sale al 76%.
Ci sono diverse ragioni per cui gli italiani privilegiano questi spazi: il 66% degli intervistati considera la colazione fuori casa una ‘coccola’, oltre che un momento irrinunciabile di socialità. Altri fattori determinanti sono il gusto del caffè al bar (24%), l'ampia scelta di cibi e bevande disponibili (24%) e il risparmio di tempo che questa abitudine comporta (19%). Gli analisti hanno evidenziato anche i criteri con cui si seleziona il proprio posto preferito per la colazione: al primo posto c’è la qualità del caffè (36%), seguita dall’atmosfera del locale, dalla convenienza e dall’offerta del cibo. Altra curiosità: la percentuale di chi applica la discriminante legata al gusto del caffè sale al 43% a Roma e al 47% a Napoli, città in cui la tradizione della ‘tazzina’ è senz’altro più sentita che altrove.
Le quotazioni del caffè sui mercati internazionali
Tornando alla nota dolente del caro-caffè, divenuto una costante degli ultimi anni e determinato da diverse cause – effetti del cambiamento climatico in primis – gli ultimi aggiornamenti aprono, tuttavia, un piccolo spiraglio di speranza.
Bene la robusta…
Come reso noto dagli esperti di Aretè, società indipendente specializzata nei servizi di analisi e previsione sui mercati delle materie prime agrifood, il dipartimento dell’Agricoltura americano ha pubblicato, nelle scorse settimane, il rapporto ‘Coffee: world markets and trade’, contenente le prime previsioni per la campagna 2025/26. La produzione globale 25/26 è prevista raggiungere un record di circa 178,7 milioni di ‘bags’ (dall’inglese, ‘sacconi’, unità di misura utilizzata per i prodotti in grani), +2,5% rispetto al 2024/25. L’aumento produttivo è riconducibile principalmente alla varietà robusta, attesa in aumento del 7,9%, con incrementi in Brasile, Indonesia e Vietnam.
Male l’arabica
E la cattiva notizia? Calerà ancora la produzione della preziosa miscela arabica (-1,7%), con contrazioni produttive in Paesi, come Brasile e Colombia, che rappresentano le principali aree di esportazione. I consumi, dopo i rincari da record delle ultime tre campagne - e in un contesto di crescita economica globale limitata - sono previsti aumentare dell’1,7%: decisamente meno, dunque, rispetto a un tasso medio delle 10 campagne pre-23/24 di circa il +3%. Conseguentemente il mercato, dopo quattro campagne di deficit, andrebbe incontro a un leggero surplus, pari a circa 1,1 milioni di bags. Il livello di scorte (+5% rispetto al 24/25) si conferma, tuttavia, basso (-36% rispetto alla media delle dieci campagne pre-23/24): il mercato, dunque, è costantemente esposto a rischi e incertezze, con conseguente volatilità. Areté segnala, infine, come il miglioramento delle aspettative sui livelli di offerta 25/26, assieme alle prese di posizione degli operatori non commerciali sui mercati, abbiano alimentato un trend deflattivo sui mercati finanziari internazionali. Da fine aprile a fine giugno i prezzi della varietà arabica hanno registrato una diminuzione del 27%, tornando a livelli che non si vedevano da dicembre 2024. Più rilevante il calo segnato dalla varietà robusta, -32%: siamo ai minimi da maggio 2024.