PREZZI ALLE STELLE per le materie prime agricole, peccato che noi non le abbiamo. Dipendiamo dall’estero, come per l’energia. Adesso, alla vigilia delle semine primaverili, scopriamo l’enorme deficit cerealicolo del nostro Paese, particolarmente grave per il mais, materia prima strategica per la filiera mangimi-zootecnia e per l’industria alimentare. Importiamo il 64% del nostro fabbisogno di grano tenero per la produzione di pane e biscotti e il 53% del mais di cui abbiamo bisogno per l’alimentazione del bestiame, dice Coldiretti, e l’Ucraina – guarda caso – è il nostro secondo fornitore di mais con una quota di poco superiore al 20%. In 15 anni gli ettari investiti a mais si sono praticamente dimezzati, alimentando un import di prodotto in gran parte Ogm. Le aziende maidicole italiane sono circa 100mila ed investono meno di 600mila ettari (il minimo dal 2018): "Se non si provvederà al rilancio colturale, in particolare saranno a rischio – ricorda Confagricoltura – le produzioni alimentari DOP di origine animale vincolate, dai disciplinari produttivi, ad avvalersi per il bestiame di mangimi e foraggi del territorio". Questi dati, questo deficit, testimoniano il fallimento, la mancata programmazione della politica cerealicola del nostro Paese per un prodotto altamente strategico per le filiere di eccellenza del made in Italy. Una performance negativa che si riflette anche sulla bilancia commerciale con un import netto al massimo storico: oltre 6,1 milioni di tonnellate e almeno 1,2 miliardi di euro di esborso valutario. All’ultima Giornata del mais organizzata dal Crea-Cerealicoltura e Colture industriali si è puntato il dito sul cambiamento climatico: il progressivo aumento delle temperature, la riduzione della quantità di piogge e la loro distribuzione penalizzano la maiscoltura, come altre attività agricole. Il cambiamento climatico influisce, anche, sul contenuto in micotossine che dal monitoraggio Crea per il 2021, ha evidenziato una situazione eterogenea tra i ...
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