Bologna, 24 novembre 2023 – "Ei, dove sei?”. “Sei arrivata a casa?”. “Cosa stai facendo?”. Perché non mi rispondi?”. “Ma rispondimi”. Questo è amore o controllo? Tanto la drammatica storia di Giulia Cecchettin, uccisa dall’ex Filippo Turetta, quanto le parole di sua sorella Elena ci risuonano come 'campanelli d’allarme’: la violenza è prima di tutto nelle relazioni quotidiane, nel modo in cui i nostri partner ci parlano, controllano, ci sottomettono psicologicamente e, nel caso peggiore, anche fisicamente.
“Quello di Filippo era un comportamento malato, voleva essere sempre con lei, le controllava il telefono”. ha raccontato Elena. Come quella volta al concerto di Milano quando con Giulia erano andate insieme a sentire un gruppo e Filippo la tempestava di messaggi. La difficoltà sta nel riconoscere la normalizzazione di certi comportamenti che sono l’estremo opposto dell’amore.
“Se non gli rispondi entro pochi minuti, se vuole sapere da te insistentemente dove sei, cosa fai, con chi sei: questo è il controllo ossessivo. Una violenza difficile da riconoscere, che ti affligge, e da cui è complicato uscirne fuori. Perché ti ripeti: ‘mi ha solo chiesto dove ero. Fa così perché ci tiene a me. Non ha mai alzato una mano su di me’”.
E questi sono i veri segnali di pericolo. Lo sa Alessia Ruggero, studentessa di 20 anni, che per Giulia e le altre grida “Adesso basta! Questo è troppo” nella piazza ‘arrabbiata’ di Bologna. Lo sa anche Nicole Cappuccini, 26 anni: “Evidentemente le parole non bastano e nemmeno la fiducia quando per esempio ti controllano il cellulare. Poi parlandone con alcune amiche ho scoperto che è un fatto molto comune”.
Quelle amiche che spesso diventano confidenti di un malessere che si fa sempre più profondo e a cui giunge il primo grido d’aiuto.
“Chi vive questa violenza spesso, purtroppo, resta ‘incastrato’ e non riesce a staccarsi facilmente”, racconta Giulia Pancani, 37 anni. Ed è una violenza che spesso nasce già tra i banchi di scuola. “E’ sempre più frequente sentire di ragazzi che prendono il cellulare della propria fidanzata per controllarlo e poi lo raccontano ai compagni”, racconta Laura Spaggiari, 33 anni, insegnante di liceo. “Spesso tendiamo a fare dei gesti simbolici, ma la battaglia contro la violenza di genere dove passare principalmente dall’educazione all’affettività in famiglia e a scuola”.
Il passo necessario è quello di una presa di coscienza e di responsabilità collettiva. “Gli uomini devono fare mea culpa, anche chi non ha mai fatto nulla, anche chi non ha mai torto un capello a una donna”, ha detto Elena Cecchettin con il volto rigato dalle lacrime e lo sguardo coraggioso di chi “non starà mai zitta”. "Fatevi un esame di coscienza e poi imparate da questo episodio e iniziate a richiamare anche i vostri amici perché da voi deve partire questo”. Elena sta dicendo di non voltarsi di spalle e di essere vigili nella quotidianità, perché l’ora più buia non torni più.
“Credo che sia importante dimostrare che non siamo indifferenti, per dire ‘basta!’, ed essere vedette”, dice Andrea Fabbri, 26 anni, sceso in piazza a Bologna per le vittime di violenza. “Molto spesso gli atteggiamenti legati alla possessività vengono sottovalutati ma sono il chiaro segnale di un problema che può sfociare in qualcosa di più grave. Per questo motivo è una questione che coinvolge tutti”.
Clicca qui se vuoi iscriverti al canale WhatsApp di Qn