di Pierfrancesco De Robertis Razionamento dell’acqua, razionamento del gas, razionamento dell’energia elettrica. Il dibattito pubblico ci sta regalando termini che credevamo espunti dal linguaggio comune e dalle possibilità di vita di tutti i giorni e ci interrogano se sia finito il modello di società consumistico come lo abbiamo conosciuto, modello basato sempre sulla crescita dei consumi. E, all’opposto, se aveva ragione Beppe Grillo quando partendo dall’assunto che la crescita a un certo punto deve finire, proponeva la exit strategy della ‘decrescita felice’. La risposta non è semplice, ma riassumiamo dicendo che la decrescita felice non è la risposta giusta. I razionamenti sono la malattia, non la cura. Ma purtroppo appaiono come la cura obbligata quando la politica, specie in Italia, non offre risposte adeguate alla rapidità con la quale il mondo, inteso nella sua accezione geopolitica ma anche come universo fisico-ambientale, è cambiato e sta cambiando. Politica debole perché schiava della burocrazia, sotto ricatto dei comitati locali (proprio ieri a Piombino si è svolta una grande manifestazione contro il rigassificatore) oppure in preda all’ideologia del No a prescindere. Il decennio grillino, dai No-Tav ai No-Tap ha lasciato il segno, e non erano solo i grillini ma anche una parte più radicalizzata della sinistra (l’ultimo sussulto anti-Tap si è svolto solo due mesi fa in Salento, a crisi ucraina già scoppiata). Prendiamo la siccità e i dissesti idrogeologici. Il problema è noto da almeno 1015 anni, ed è chiaro che senza la costruzione massiccia di invasi e opere idrauliche di recupero la situazione si fa più drammatica ogni anno che passa. Nonostante tutto, niente si è mosso. In Toscana servì la disastrosa alluvione di Firenze del ‘ 66 a dare l’impulso per creare la diga del Bilancino, di cui all’epoca già si parlava, che comunque non vide la luce prima del 1999. Trentatré anni. Gli ...
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