Giovedì 18 Aprile 2024

Sul clima ancora un fallimento C’è l’intesa, ma è sul (quasi) niente

Alla Cop27 per il riscaldamento globale raggiunto solo un accordo di facciata, le differenze restano tutte

Migration

di Alessandro

Farruggia

A un passo dal clamoroso fallimento COP 27, la conferenza mondiale sul clima che si tiene a Sharm el Sheik e che dopo due settimana è stata costretta ad aggiungere un altro giorno di negoziati per giungere a un risultato, si avvia nella notte – la plenaria era prevista dalle 22 ora italiana in poi – ad un flebile accordo. L’intesa ha qualche luce e molte ombre e non cambierà le prospettive della lotta al cambiamento climatico. L’accordo infatti non fa passi in avanti nel taglio delle emissioni, che è poi il cuore del problema. Questo rende del tutto irrealistico l’obiettivo, pur enumerato nel testo finale, di cercare di contenere il riscaldamento entro gli 1.5°, come stabilito nell’accordo di Parigi. Resta come target teorico, ma manca completamente una adeguata azione per centrarlo. Stare entro gli 1.5 gradi è infatti arduo ma possibile, ma la realtà è che semplicemente manca la volontà politica – Europa e paesi più colpiti esclusi – di provarci.

Decisiva per evitare almeno un fallimento formale è stata l’azione della Ue che con il capo negoziatore Franz Timmermans ha fatto una proposta ultimativa accettando la richiesta dei paesi in via di sviluppo – i cosiddetti “G77 +Cina“ – per la nascita un fondo che si occuperà dei cosiddetti “loss and damages“ cioè di ripagare i paesi in via di sviluppo dei danni del cambiamento climatico. Ma l’UE ha posto condizioni per precise: Il fondo doveva essere destinato solo ai paesi più vulnerabili, e non a tutti i paesi in via di sviluppo, fra i quali risultano ancora grandi economie come la Cina e ricchi petrostati come Arabia Saudita ed Emirati. E doveva essere finanziato dalla più ampia base di donatori, quindi anche dalla Cina, che invece voleva scaricare l’onere solo sull’Occidente. Non solo. L’UE ha chiesto anche che sia ribadito l’obiettivo dei 1.5 gradi, e fissato il picco delle emissioni al 2025. "Meglio nessun accordo che un cattivo accordo" ha detto Timmermans e l’ultimatum ha convinto G77 e Cina ad accettare che i fondi andranno solo ai paesi più vulnerabili e che sarà ampliata la base dei donatori. Ma il come e il quanto sarà deciso da una commissione che lavorerà da qui alla prossima COP, che si terrà nel dicembre 2023 a Dubai. La negoziazione si annuncia complessa.

Il risultato è importante per i paesi in via di sviluppo colpiti dall’emergenza climatica, ma è una misura che non incide sulle cause. Dal testo arrivato in plenaria, non a caso, è scomparso l’obiettivo di eliminare progressivamente le fonti fossili, principale causa del problema. Certo, nel testo si dice che entro il 2030 le emissioni dovranno ridursi del 43% rispetto al 2019, ma ci si limita ad invitare i paesi a presentare target volontari. Non c’è nulla di obbligatorio. E il risultato è che storicamente la buona volontà latita e le emissioni hanno continuato a crescere. COP27 non è formalmente fallita ma in sostanza ha confermato l’intero processo negoziale è inadeguato.