Martedì 23 Aprile 2024

Rapiti, torturati e uccisi Quei sindaci in prima linea

Migration

di Gabriele

Canè

KIEV

Vitali Klitschko è alto 2 metri e un centimetro, pesa 112 chili, ha una laurea magistrale, è stato campione del mondo e uno dei più grandi pugili nella storia dei pesi massimi. A Kiev fa il sindaco. Anzi, da 42 giorni, fa pure il generale e a nessuno è venuto in mente di ridicolizzarlo per il suo passato come hanno fatto con l’ex attore Zelensky. Meglio evitare. Con il fratello Wladymir, una fotocopia, forse un paio di centimetri in più, potrebbe fermare un tank con la forza delle braccia. Ha girato per i sobborghi martoriati, ha stretto al petto le madri che avevano perso i figli, le famiglie che hanno perso la casa. "Sono con voi. Ripartiremo". E a Bucha, periferia dell’inferno, morti per le strade, uccisi a sangue freddo: "Non perdoneremo quello che è stato fatto al nostro popolo". Provate a dirgli che avete dei dubbi! Che chissà chi è stato! Che le responsabilità non stanno mai tutte da una parte!

Olga Sukhenco, invece, era piccola e minuta. La sua cittadina, Motyzhyn, poco più che un villaggio. Lei non ha potuto difendersi. I russi l’hanno portata via con il marito e il figliolo, li hanno torturati e ammazzati. Nessuno ha potuto salvare la soldatessa Olga, il suo uomo, il suo bambino. A Ivan Fedorov, primo cittadino di Melitopol, è andata meglio: è stato rapito dai soldati nemici e rilasciato dopo 5 giorni. Ha raccontato: "Ho sentito nelle celle accanto alla mia le urla dei torturati. La vita umana per loro non conta".

Di Nikolai Rizak, sindaco di Tavriya, e di Oleksiy Shibayevll, vice sindaco di Nova Sloboda, si sa che soni stati catturati e portati chissà dove. Poi più nulla. La storia, la brutta storia di questa guerra, è anche la loro storia, di questi e tanti altri primi cittadini rapiti, torturati, uccisi. Di sindaci che si sono tolti la fascia una sera, e hanno indossato il giubbotto anti proiettile il mattino dopo. Che hanno camminato tra le macerie dei quartieri che fino al giorno prima progettavano di risanare. Fino al 24 febbraio si occupavano di concessioni edilizie, dei servizi. Andavano in ufficio, pratiche, riunioni, grane, soddisfazioni. Routine. A Mariupol o nelle piccole cittadine ucraine, come nella nostra provincia. Poi, all’improvviso, la guerra. Il coraggio, il sacrificio. È un capitolo nuovo, diverso, o che almeno così appare, quello di questi eroi che in un attimo hanno saputo riciclarsi dalle scartoffie al mitra. Per difendersi. E difendere. Non è certo un caso se i russi li hanno scelti come bersagli privilegiati, strumenti e vittime di una guerra anche psicologica in cui per piegare la popolazione, intimidirla, umiliarla, è apparso utile, primario, decapitare i leader delle comunità, ancor più di quelle minori. E loro, in tanti, hanno saputo fare la loro parte. A guerra finita, tra le tante cose, bisognerà ricordarsi di questi eroi e dei loro paesi. Saranno le località con cui gemellarsi. In segno di amicizia. E di ammirazione.