Core de Roma, sì, ma anche tante altre cose. E quella romanità che le appartiene, non è la romanità del cinismo, del volemose bene, del "ma che ce frega, ma che c’importa". È una romanità nobile, discreta. Lei, Giovanna Ralli, nata a Testaccio, interpreta con eleganza questa romanità mai urlata, mai volgare.
"Roma è la città di Aldo Fabrizi, Alberto Sordi, Anna Magnani, di Gigi Proietti, Carlo Verdone. È un crocevia di anime nobili, di sentimenti forti, alti, potenti, la culla di artisti grandissimi. Non è una cosa da niente. Io? Ah no, io mi metto in fondo alla fila, piccina piccina…".
"Il cinema? Non l’ho mai vissuto come un sogno, come un desiderio. Semmai, come un modo per guadagnare, quando soldi ce n’erano pochi", dice. "Il cinema era un’altra cosa: era Massimo Girotti che abitava nel nostro palazzo: mi affacciavo alla finestra per vederlo arrivare e mi mettevo i tacchi, anche se ero piccola, per sembrare più carina".
Ma il cinema entra nella vita di Giovanna Ralli fin da quando era bambina. A sette anni recitava ne ’I bambini ci guardano’ di Vittorio De Sica, poi tanti piccoli ruoli, i concorsi di bellezza, il teatro a tredici anni:
"Dopo la guerra non si mangiava: mi pagavano, aiutavo la famiglia".
Quindi un ruolo in ’Luci del varietà’ di Federico Fellini e Alberto Lattuada, nel 1950.
"Sognavo una vita normale, pensavo di fare l’operaia e di sposare un operaio", dice al telefono.
Ride, ride spesso mentre si racconta. È serena, racconta il suo presente, le amiche – Franca Bettoja e le altre, tutte amatissime – e il suo passato: Gassman, Sordi, Scola, il grande cinema italiano, ma anche l’esperienza a Hollywood, l’incontro con Frank Sinatra. E racconta quel momento terribile, in cui avrebbe voluto farla finita. Che ricordo ha di Alberto Sordi, di cui ricorre il centenario della nascita? Con lui girò ’Costa Azzurra’, interpretavate una coppia di fruttivendoli che sognano il cinema.
"Eravamo molto amici con Alberto: era un uomo molto ironico e, a dispetto della leggenda, anche molto generoso: quanto ha aiutato, anonimamente, i giovani! Quando mi sposai, mi portò dall’Africa un caftano! Non appena lo ebbi fra le mani, lo indossai, con una fusciacca in testa. ‘Ammazza quanto sei bella’, mi disse appena mi vide. Amava le donne, amava la bellezza. Simpatizzò con mio marito, Ettore Boschi, e spesso veniva a mangiare a casa nostra".
Quali ricordi ha della guerra? Lei è nata nel 1935, era bambina nei giorni dell’armistizio dell’8 settembre e poi dell’occupazione… .
"Ho ricordi di mio papà, antifascista, e di alcuni ebrei che mamma nascose a casa nostra. Abbiamo rischiato, e abbiamo fatto la nostra parte per salvare delle persone".
È diventata attrice a quindici anni, in piena adolescenza.
"Quella fase della vita l’ho saltata. Non sono mai andata a ballare, perché alle sei di mattina veniva la macchina per portarmi sul set. E la sera studiavo le scene del giorno dopo. Non ricordo una serata passata a ballare. Attorno a me avevo attori adulti, non ragazzi: l’adolescenza non l’ho mai vissuta".
Come andò quando venne chiamata a Hollywood?
"Nel 1956 avevo interpretato una commedia musicale, ‘Se permettete parliamo di donne’, di Ettore Scola. La vide Blake Edwards e mi fece un provino. E finii a Hollywood per il film ‘Papà, ma che cosa hai fatto in guerra?’ Come vicini di casa avevo Jack Lemmon, Rock Hudson e Billy Wilder! Blake Edwards era un uomo di gran classe, elegante, spiritoso".
Come è stata la sua relazione con l’attore britannico, Michael Caine?
"Caine era un uomo bellissimo. Orgoglioso delle sue origini popolari. Diceva sempre: ‘Io sono cockney’ e si riferiva al suo linguaggio, che non era da nobiluomo, non era adatto per le tragedie shakespeariane. E a me piaceva, di lui, proprio questo: la sincerità, la schiettezza. Mi portò a mangiare il roast beef, una domenica, a casa di sua madre".
E Frank Sinatra?
"Mi invitò a mangiare il pollo fritto a Palm Springs, a casa sua. Suonò anche il pianoforte per me! ‘Strangers in the Night’ tutta per me! Era un uomo dal fascino infinito, aveva una dizione stupenda: ma non mi ha mai fatto veramente la corte. Lui era innamoratissimo di Mia Farrow, all’epoca. E se pensava ad un’altra donna, quella donna era Ava Gardner: l’ha aiutata moltissimo, negli anni delle crisi di lei. Era un uomo molto generoso".
Vittorio Gassman. Qual è stato il vostro rapporto?
"Era un trascinatore, un uomo di una vitalità unica, di uno charme incredibile. Voleva che facessi teatro con lui, teatro classico. Ma io non mi ritenevo all’altezza, mi tirai indietro. Mi disse: ‘Sei una cretina!’. Mi sono buttata tante volte, nella vita; ma con Gassman a teatro non ci sono riuscita".
Con Carlo Lizzani ha girato ’La vita agra’.
"Siamo rimasti amici e pochi giorni prima che si buttasse dalla finestra l’avevo visto passare, con la moglie. Sono corsa per chiamarlo e poi non ho avuto coraggio. Sembrava triste. Li ho lasciati andare così e ancora mi viene un groppo in gola se ci penso".
Ha lavorato anche con Totò in ’Racconti romani’: che tipo era?
"Non ci vedeva già più, era molto avvilito per questo. Noi eravamo in confidenza, ci conoscevamo da anni".
Ha anche interpretato la prima omosessuale in un film in Italia, in ‘La fuga’ di Paolo Spinola. Non deve essere stato facile, vero?
"Era un personaggio bellissimo, in anticipo sui tempi. Una donna sposata che si invaghisce di un’arredatrice negli anni Sessanta. Ci è voluto un po’ di coraggio".
Ha anche cantato e benissimo: "Domenica è sempre domenica…".
"Ma no, non mi sono mai ritenuta una cantante! Avevo un filo di voce, ma quel filo cercavo di porgerlo bene, con grazia".
Ettore Scola ha esaltato le sue qualità in tre film.
"L’ho conosciuto quando era giovanissimo e non era ancora regista ma solo sceneggiatore. Abbiamo fatto insieme ‘Se permettete parliamo di donne’, ‘C’eravamo tanto amati’, in cui mi ha regalato un personaggio meraviglioso, e la versione teatrale di ‘Una giornata particolare’".
I registi di oggi: con chi lavorerebbe?
"Tornatore, Garrone, Virzì sono i primi nomi che mi vengono in mente. Sono bravissimi e con loro molti altri. Non è vero che il cinema italiano non produca più nuovi talenti nella regia. Semmai, il guaio è trovare personaggi della mia età a cui mi senta vicina emotivamente".
Chi frequenta?
"Vedo le mie amiche, sono sei e sono meravigliose, sempre le stesse da cinquant’anni. Fra loro c’è Franca Bettojam che mi ha aiutato. Nei primi anni dopo la morte di mio marito non uscivo di casa, pensavo solo a morire. È merito suo se oggi sono qui. Io volevo andare in Olanda e uccidermi".
La solitudine non la spaventa?
"No. Quando sono sola, leggo".
Che libri sta leggendo?
"Rileggo i classici che mi hanno fatto innamorare da ragazza. Maupassant e Cechov".
Rimpianti?
"Nemmeno uno. Ho sempre fatto quello che sentivo di fare".
Come vive, oggi, la sua età, la sua vita?
"Molto serenamente: non faccio nulla per sembrare più giovane. Esco anche senza trucco e la cosa più curiosa è che ancora, mentre sto in fila alle poste, la gente mi riconosce, mi abbraccia, mi sorride. È il regalo più grande che la vita potesse farmi".