La dichiarazione di Massoud Setayeshi, portavoce della magistratura iraniana, all’agenzia di stampa del ministero della cultura e dell’orientamento islamico Irna è categorica: "Le spie francesi arrestate recentemente con altri stranieri sono accusate di raduno e collusione contro la sicurezza nazionale e di spionaggio". Nel gruppo dei 9 stranieri finiti in cella c’è la travel blogger romana Alessia Piperno, 30 anni, fermata il 28 settembre e trasferita nel carcere di Evin, la prigione nella quale il regime degli ayatollah richiude e sevizia i dissidenti. "Dai detenuti stranieri – spiega Setayeshi – abbiamo raccolto diverse informazioni di valore e strategiche. Le stiamo studiando". Nell’ambito di questo filone di indagine, precisa il portavoce dei giudici, "sono stati effettuati altri arresti". Il nuovo ministro degli esteri AntonioTajani ha scritto su twitter e ha ribadito in una lunga telefonata al padre di Alessia, Alberto, che sta seguendo il caso "con il massimo impegno e con grande determinazione".
Il 28 settembre i poliziotti iraniani hanno aspettato che Alessia uscisse da un ostello della periferia nel quale alloggiava assieme a tre amici (un francese, un polacco e una giovane iraniana), l’hanno seguita e hanno fermato il terzetto subito dopo il primo contatto con conoscenti locali. Alessia era in Iran da alcune settimane. In sella a una moto da enduro aveva visitato il Pakistan e avrebbe voluto tornarci per contribuire alla ricostruzione di un villaggio distrutto dalle recenti alluvioni. Su Instagram aveva pubblicato un diario del suo viaggio. Alcuni post critici sul regime teocratico potrebbero essere stati la fonte dei suoi guai. Era reduce dal Kurdistan iraniano, una regione nel mirino dell’intelligence di Teheran. Ali Salehi, procuratore del "tribunale rivoluzionario" di Teheran, ha dichiarato che saranno processate per "propaganda antisistema e danni all’ordine pubblico" 315 persone finite sotto inchiesta dall’inizio delle proteste per la morte di Mahsa Amini, 22 anni, curda, deceduta il 16 settembre tre giorni dopo essere stata arrestata perché indossava il velo lasciando scoperta una ciocca di capelli. Sui 315 quattro rischiano la pena capitale per aver "usato armi per minare la sicurezza e per creare panico nella società".
Le manifestazioni contro il regime sono costate la vita ad altre due giovani donne. Sono Arnika Gahemmaghami, 17 anni, e la studentessa universitaria Negim Abdolmaleki, 21 anni, deceduta, secondo la sua compagna di stanza, dopo essere rientrata nel dormitorio femminile. Secondo Tasnim, l’agenzia di stampa dei Pasdaran della Rivoluzione, Arnika Gahemmaghami sarebbe caduta da una finestra dopo dieci giorni di cure mediche. Le immagini scattate con il cellulare e condivise dalla giovane sui social media nelle quali si vedeva che veniva colpita al capo da una manganellata sarebbero "il risultato di un attacco informatico al suo telefonino". Negim Abdolmaleki invece avrebbe bevuto "alcol avvelenato". Hrana, un’agenzia di stampa di attivisti per i diritti umani, calcola che dall’inizio delle proteste abbiano perso la vita 248 persone, precisando che 33 sono minorenni e 28 membri delle forze di sicurezza. Gli ultimi due caduti sono un colonnello dei Pasdaran e un paramilitare Basij ammazzati a Zahedan, il capoluogo della provincia Sistan – Balucistan. Video diffusi sui social mostrano proteste alla Beheshti University e alla Khaje Nasir Toosi University of Technology di Teheran e alla Shahid Chamran University di Ahvaz, in Khuzestan. Studenti e studentesse hanno mangiato assieme.