Venerdì 3 Maggio 2024

Powell e le guerre in Iraq: dal trionfo al declino

Morto a 84 anni. Eroe nel conflitto del 1991 contro Saddam, nel secondo fu travolto dallo scandalo delle prove false sulle armi chimiche

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di Cesare De Carlo

Il Covid si è portato via Colin Powell. E il cordoglio che ha accompagnato l’annuncio della famiglia riflette partecipazione e sorpresa. Partecipazione, perché è la più illustre vittima americana del virus. E sorpresa, perché l’ex segretario di Stato, ex capo del Pentagono, trionfatore della prima guerra del Golfo, propugnatore della guerra in Iraq, era vaccinato. Ma si sono prodotte delle complicazioni, dovute anche al mieloma multiplo di cui soffriva. E queste a una certa età (aveva 84 anni) sono rischiose. Da ieri gli americani sono orfani di un grande uomo. Uno di quelli che – come sentenziava Thomas Carlyle – hanno fatto la storia. Negli States era popolarissimo. Al punto che invano il partito repubblicano, per due volte, nel 1996 contro Bill Clinton e nel 2000 contro Barack Obama, cercò di farne il proprio candidato alla presidenza. Lo chiamavano il Reagan nero. E forse per questo motivo il glorioso generale non era molto amato dagli afroamericani, che a dispetto del colore della pelle lo consideravano estraneo alla comunità.

Colin Powell non ha mai avuto nulla a che fare con le rivendicazioni e ancor meno con le proteste. Era orgoglioso di essersi affermato solo grazie alle proprie capacità. Figlio di giamaicani, infanzia a Harlem e nei Bronx. Borse di studio. West Point. Due tour in Vietnam. Ferito una prima volta in una trappola di bambù avvelenato. Una seconda abbattuto con l’elicottero. Pluridecorato. Consigliere alla Casa Bianca di Reagan. Primo afro- americano a diventare capo degli Stati Maggiori Riuniti con Bush senior. Primo afroamericano nominato segretario di Stato da Bush junior. Si diceva convinto che l’America non fosse razzista. E l’anno scorso, quando George Floyd venne soffocato a Minneapolis, pur criticando la brutalità della polizia e l’amministrazione Trump, condannò violenze e incendi. Colin Powell fu un servitore vincente.

Quando George H. Bush, sotto egida Onu, mandò le truppe nel Golfo per liberare il Kuwait, Powell anticipò: il Vietnam mi ha insegnato che quando si fa la guerra bisogna usare la massima forza disponibile. Schierò 600mila soldati. In poco più di un mese le truppe americane arrivarono a 50 miglia da Bagdad prima che il presidente ordinasse al generale Schwarzkopf di fermarsi. E proprio l’Iraq costituisce la pagina nera della biografia di Powell. Andò all’Onu a confermare che Saddam aveva armi chimiche e biologiche e che andavano neutralizzate. Dunque attacco preventivo. Più tardi invece quelle informazioni da fonti varie si rivelarono false. Amareggiato si ritirò a vita privata e rovesciò le sue preferenze politiche. Per la presidenza appoggiò Obama e poi Biden. Ma la fuga indecorosa dall’Afghanistan fu la sua ultima, grave delusione. Da soldato e da americano.