Sabato 4 Maggio 2024

Pd sfinito, una settimana di passione Che fatica tenere unito il governo

Dem stretti tra l’Aventino a 5Stelle e i moniti del Quirinale, in vista dell’ennesima resa dei conti tra Draghi e Conte

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di Ettore Maria Colombo

Se "I numeri per governare ci sono anche senza i 5S", come dice Francesco Boccia, responsabile Enti locali del Pd, numero due di Enrico Letta alla tolda di comando del Nazareno e cocciuto sostenitore dell’alleanza coi 5S, vuol dire che la situazione è davvero assai grave. Certo, subito dopo aggiunge: "Ho detto a Conte che ciò che conta è tenere la barra dritta: mai come ora occorre l’unità dei progressisti e dei riformisti".

Ma che nel Pd siano molto "preoccupati" per il rischio showdown tra Conte e Draghi non è un mistero per nessuno. In questi giorni, le telefonate e i colloqui per cercare di ‘placare’ le ire del capo politico del Movimento e, soprattutto, per fargli tenere a freno i suoi parlamentari e vice pasdaran si sono sprecate e in modo continuo, ossessivo. Conte, poverino, ormai col telefono bollente, lo hanno chiamato tutti: Enrico Letta, Franceschini, ma anche la sinistra di LeU (Speranza e Bersani) ci sta mettendo del suo. Invece, la sinistra interna dem (il ministro Orlando, il vicesegretario Provenzano, il vecchio saggio Cuperlo) sta facendo di tutto per far capire ai 5Stelle che pure loro, persino loro, se salta il governo, non potranno far nulla per tenere in piedi l’alleanza politica in vista delle future, prossime, elezioni. Poi c’è il dialogo fittissimo tra il capodelegazione al governo Patuanelli (pronto alla rottura) e quello dem, Franceschini. Solo la minoranza interna dem (gli ex renziani di ‘Base riformista’ di Guerini e Lotti, e i Giovani turchi di Orfini) non si scompongono: in fondo, se i 5S rompono e salta il ‘campo largo’ per loro si aprono praterie per dialogare col centro: accogliere il ‘figliuol prodigo’ Renzi, far rinsavire l’iroso Calenda, mandar baci a Di Maio.

Solo che Conte, tra le tante cose che imputa al Pd (e, in particolare, a Enrico Letta), mette nel conto pure la mancata stigmatizzazione della scissione, le profferte di Letta a Di Maio ("collaboreremo") e il timore di voler aprire il cantiere del centro. In più, le parole di un vecchio sodale, l’ex segretario Nicola Zingaretti, pentito di aver definito Conte "punto di riferimento fortissimo dei progressisti" lo hanno mandato in bestia. Conte è "amareggiato", si sente ‘tradito’ dallo stato maggiore dem e ascolta solo chi gli soffia nelle orecchie che debba morire Sansone (Draghi) con tutti i filistei (i democrat).

Ecco, la situazione è questa, non certo la migliore mentre si apre una settimana in cui Conte chiede, a Draghi, "risposte chiare, definite, per martedì" sui nove punti presentati dal M5s. Infine, giovedì, nell’Aula del Senato, si vota la fiducia al dl Aiuti e i 5Stelle usciranno dall’Aula per evitare di farlo. I 5S sono tranquilli: "Anche senza di noi i numeri per governare li hanno. La legislatura non cadrà". Anche nel Pd lo sanno e, pur smentendo la cosa ("Draghi sarà l’ultimo governo della legislatura"), sanno anche che, se Mattarella chiamerà, non potranno sottrarsi a un Draghi bis. Ma - ricorda un big dem - "Quando Bertinotti fece cadere il governo Prodi era il 1997. Si votò più di tre anni dopo, nel 2001 e andammo da soli pur sapendo di perdere".