Como, 4 gennaio 2015 - Le imponeva le regole più rigorose dell’Islam, religione di cui era stretto osservante, nonostante lei non sentisse sua quella cultura. Cresciuta in Italia la ragazzina, all’epoca quattordicenne, cercava di sottrarsi a quell’educazione decisa dal padre e condivisa dalla madre e dai due fratelli. Senza però riuscirci. Fino alla mattina in cui ha incontrato una pattuglia della polizia, che ha voluto sapere i motivi per cui stava girovagando anziché essere a scuola. La ragazzina era scoppiata a piangere davanti a lui, dicendo che non voleva tornare a casa, è iniziata così l’indagine che ha portato il padre a processo, un uomo di 50 anni di origine nordafricana, residente nella Bassa Comasca assieme a tutta la famiglia, accusato di abuso dei mezzi di correzione o disciplina.
La sentenza è attesa per il 9 gennaio, ma intanto la ragazzina è stata tolta alla famiglia, e trasferita in un centro di accoglienza protetto per donne maltrattate. Oltre a imporre alla ragazza l’abbigliamento più tradizionale, che comunque lei rifiutava, l’uomo l’avrebbe spinta a tenere condotte restrittive e limitative della libertà, senza poter decidere in autonomia quello che ogni ragazzina di quell’età vive con normalità. Un atteggiamento nel quale il padre era sostenuto dalla moglie, a sua volta abituata a tali condotte, senza trovare nessun aiuto o ascolto all’interno della famiglia, men che meno dai due fratelli. L’unico da cui è riuscita a farsi ascoltare, è stato quel poliziotto che l’ha vista, notando che c’era qualcosa che non andava.