Palermo, 25 gennaio 2024 – Non c’è dubbio che Matteo Messina Denaro, latitante per un trentennio, abbia passato buona parte di questo tempo nel trapanese, la sua zona d’origine e il cuore delle sue attività mafiose. È quanto emerge dalle parole di Maurizio De Lucia, il procuratore palermitano a capo delle indagini che hanno portato all’arresto del boss, il 16 gennaio dell’anno scorso. “Indagando dopo il suo arresto abbiamo scoperto che era stato addirittura fermato a un posto di blocco, sette anni fa – ha raccontato il magistrato agli studenti del casertano incontrati ad un evento oggi – Non fu riconosciuto dai carabinieri che controllarono il suo documento. Tutto sembrava in regola”. A coprire il latitante, una fitta rete di collaboratori: “confidava sul fatto che le forze dell'ordine avevano sue foto vecchie di anni, ma c'era anche chi lo avvisava dei movimenti degli investigatori”.
Nella stessa occasione, De Lucia ha sottolineato come i boss siano intenzionati a ricreare la ‘cupola mafiosa’, termine con il quale si indica il ‘commando’ generale della criminalità organizzata, che ne raggruppa i leader e le famiglie più importanti: “Cosa nostra ha subito colpi importanti, è stata indebolita ed è più povera, ma le famiglie provano sempre a riorganizzare un organismo di vertice”. Il procuratore ha poi spiegato che un altro obiettivo è “arricchirsi nuovamente, attraverso il traffico di stupefacenti”.
All’evento di oggi, dove De Lucia ha parlato anche del libro dove narra gli eventi che hanno portato all’arresto del super latitante Messina Denaro, ha preso parola anche il co-autore dello stesso, il giornalista Salvo Palazzolo, che ha messo in guardia dalla penetrazione della mafia nelle autorità politiche: “Don Peppe Diana in Campania e don Pino Puglisi in Sicilia invitavano la Chiesa e la società civile a una testimonianza più attiva, per la liberazione del territorio, ma restarono soli. Per questo furono uccisi – ricorda – il motivo per cui oggi non possiamo permetterci altre pericolose sottovalutazioni, di fronte a una mafia tornata silente che si infiltra nell'economia e nella politica”.
Matteo Messina Denaro è stato arrestato nel gennaio 2023, mentre si recava a una seduta di chemioterapia sotto l’identità dell’ingegnere 59enne Andrea Bonafede, poi fermato la settimana seguente. Tra i crimini del boss, la partecipazione all’organizzazione dell’omicidio del magistrato Giovanni Falcone e l’ordine di rapire il figlio del pentito Santino Di Matteo, Giuseppe; lo stesso Messina Denaro ha ammesso, una volta in carcere, di aver commesso quest’ultimo fatto. Dopo alcuni mesi passati al 41-bis a L’Aquila, è morto il 25 settembre 2023 per un tumore al colon.
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