Giovedì 18 Aprile 2024

Ma oggi non si scopre più nulla Viaggiare è farsi guidare dal caso

La tendenza è prenotare tutto e fissare i tempi. Invece spesso gli imprevisti si rivelano i momenti più belli. Se si dorme nella camera di Proust si paga un ricordo per la vita. Il consiglio? Imboccare una strada ignota

Migration

di Roberto Giardina

Vai dove ti porta il caso, forse servirà a risparmiare, di certo ti trasforma da turista in viaggiatore. Oggi non si viaggia più, si viene trasportati. In due ore con volo low-cost raggiungi quasi ogni meta in Europa, ma sei imprigionato in un programma, devi rispettare le tappe, sono esclusi gli imprevisti che, invece, sono la cosa più affascinante di un viaggio, quel che ti rimane nel ricordo. Se giungi in un luogo che non hai scelto, sei costretto a essere curioso, a scoprire dove ti trovi. Magari in un posto dove non saresti mai andato, sedotto o ingannato dalla pubblicità, dalle offerte all inclusive, che sono la fine dei viaggi, quelli di una volta.

“Che ci faccio qui?” è il titolo di un libro di Chatwin, grande viaggiatore. Perché sono in un posto, in vacanza o per lavoro l’ho sempre saputo, ma appena giunto sono stato sorpreso dalla domanda: e ora come me la cavo? Trovare un albergo, o una pensione, cosa vedere, come farmi capire e capire. Una sottile angoscia, che prova prima o poi chi viaggia affidato a se stesso. Prevedere tutto, prenotare, decidere gli orari, è rassicurante ma non saprai mai quel che avrai perduto. Un imprevisto può essere una piccola avventura.

Alla fine d’una estate, con mia moglie decidemmo di andare in auto da Viareggio verso sud, ma passando lungo il crinale appenninico, evitando Tirreno e Adriatico. Scoprimmo il primo giorno che la Toscana era ancora tutta esaurita, dagli Hotel Cinque stelle alle pensioni. In un agriturismo, un gestore gentile ci offrì un prosecco e trovò per noi una camera a Poggibonsi. Tutti vanno a Firenze o a Pisa, nessuno va a Poggibonsi, ci disse. Fu una scoperta, e restammo due giorni, in una antica villa trasformata in albergo. Un angolo della Toscana com’era, fuori dall’orda turistica.

Gli alberghi delle grandi catene, quelli preferiti dai tour operator, sono tutti uguali. Hanno persino gli stessi mobili. Se ti svegli al mattino, non sai se ti trovi a Bologna o a Copenhagen. I piccoli hotel hanno una loro anima, fanno parte della storia d’Europa, sono fragili, non vengono protetti come opere d’arte, eppure spesso lo sono. L’albergo delle spie a Berlino Est, l’Hotel di Mata Hari e dei capi mafia a Palermo. Sono economici oppure cari, ma quasi sempre ti lasciano entrare per vedere, anche se non diventi cliente. Sono orgogliosi del loro passato. Ho dormito nella camera di Marcel Proust, la 414, al Grand Hotel di Cabourg, quella che descrive ne “Alla ricerca del tempo perduto”. Una notte a caro prezzo, ma ho pagato un ricordo per la vita. Sederti al tavolo nel caffè preferito da Freud a Vienna costa quanto un cappuccino.

L’arte di viaggiare è perdere tempo. Se vuoi vedere tutto, non vedi nulla. Per visitare bene il Louvre o gli Uffizi occorrono giorni. Se ti fanno correre da una sala all’altra, avrai pochi secondi per ogni capolavoro. Vale la pena per farsi un selfie davanti alla Primavera di Botticelli? Scegli un quadro che ti piace, e restaci davanti quanto vuoi, anche se è non di un grande maestro, ma a te piace. E ovunque siate, andate al mercato, valgono quanto un museo, non a comprare, a vedere. E stanno sparendo, uccisi dai supermarket.

Meglio andare a piedi, da solo, in due, al più con un paio di amici, mai in gruppo. Il cuore delle metropoli pulsa ma è piccolo. In 40 minuti attraversi la vecchia Parigi, dal Sacro Cuore al Quartiere Latino. Il centro di Roma è meno vasto di Venezia. E anche Londra, Barcellona, o Madrid si visitano a piedi. A Berlino no, perché ha tanti cuori. A piedi ti muovi per un luogo, tra la gente, con lentezza, ti fermi quando vuoi, e scegli una strada che non sai dove ti porta.